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Pensioni e flessibilità, perché il part time agevolato per ora…

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Pensioni e flessibilità, perché il part time agevolato per ora è un flop

A fine agosto, ha affermato il presidente dell'Inps Tito Boeri in una nostra intervista, solo 150 lavoratori hanno chiesto di optare per il part time agevolato, l'ultima forma di flessibilità in uscita introdotta dal Governo e divenuta operativa solo lo scorso mese di giugno. Sono numeri piuttosto modesti che segnalano un entusiasmo ai minimi per una misura che, se andrà avanti così anche nei prossimi mesi, rischia di doppiare il flop del Tfr in busta paga.

Ma ricordiamo di che cosa stiamo parlando. Con la legge di Stabilità 2016 è stato introdotto uno schema di part time agevolato in base al quale i dipendenti del settore privato che maturano il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia entro il 2018, possono ridurre l'orario, d'accordo con il datore di lavoro, del 40-60 per cento. L'assegno mensile, però, non si riduce in misura uguale perché il dipendente incassa, esentasse, la quota di contributi per le ore non lavorate che l'azienda dovrebbe versare all'Inps. Inoltre beneficia della contribuzione figurativa. A fronte di una copertura finanziaria di 240 milioni per il triennio 2016-2018, ci si aspetta che l'opzione sia utilizzata da 30mila persone, vale a dire circa 10mila all'anno.

Per valutare l'efficacia o meno dello strumento bisogna tener conto con ci sono due interessi in conflitto: quello del lavoratore senior e quello del suo datore di lavoro. Il presupposto del compimento dell'età pensionabile entro la fine del 2018 mette nelle condizioni aziende e lavoratori di optare, oltre al part time agevolato, anche sull'accordo di prepensionamento previsto dalla legge 92 del 2012 (articolo 4 commi 1-7 ter), soluzione utilizzata da circa 5.500 lavoratori a fine 2015, stando agli ultimi dati Inps disponibili.

I due strumenti hanno lo stesso obiettivo: accompagnare alla pensione un po' prima i lavoratori. Ma con modalità (e costi) diversi: il part time agevolato genera una riduzione dell'orario di lavoro con un incremento della retribuzione media oraria, l'accordo di prepensionamento determina la cessazione del rapporto di lavoro con un vero e proprio anticipo del trattamento pensionistico. Ciò che accomuna i due strumenti è la salvaguardia del trattamento pensionistico definitivo per via del riconoscimento della contribuzione figurativa. Le diversità emergono invece nel cosiddetto “periodo transitorio”.

Il part time consente ai lavoratori, nonostante la riduzione dell'orario, di ottenere mediamente una retribuzione pari al 78% della retribuzione netta percepita in regime di tempo pieno e parallelamente consente ai datori di lavoro di ridurre mediamente il costo del lavoro del 41%. Con l'accordo di prepensionamento della legge Fornero, a fronte della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore riceve una iso-pensione netta pari mediamente al 85% dell'ultima retribuzione netta, ma il datore di lavoro riduce il proprio costo del lavoro mediamente solo del 18%. Nei fatti, data la scarsa convenienza, finora lo strumento dell'iso-pensione è stato utilizzato solo da grandi aziende, tipo l'Enel.
Teoricamente dunque per i datori di lavoro sarebbe più vantaggioso concedere un part time agevolato rispetto a un prepensionamento. Eppure i primi dati Inps ci dicono che la partenza si sta rivelando piuttosto lenta.

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