Se non paghi ti faccio causa: sono soprattutto i debiti non saldati per tempo a portare i cittadini nelle aule giudiziarie. Tanto che nel 2015 i procedimenti avviati per recuperare un credito sono stati circa 1,5 milioni, quasi la metà dei 3,3 milioni nuovi ricorsi civili presentati in tutti gli uffici giudiziari (con la sola esclusione del tribunale per i minorenni). Un primato amplificato dalla crisi, ma che ha anche altre ragioni.
Perché si litiga
Secondo le statistiche del ministero della Giustizia, i cittadini si rivolgono ai giudici soprattutto per chiedere l’emissione di decreti ingiuntivi: ordini di pagare rivolti ai debitori morosi, basati sulle “prove scritte” (un contratto di mutuo, un finanziamento o una fattura) presentate dai creditori. L’anno scorso sono stati più di un milione i decreti ingiuntivi pronunciati dai magistrati: la metà dai giudici di pace, competenti per somme inferiori ai 5mila euro, mentre l’altra metà, per importi più elevati, è uscita dai tribunali.
Sono provvedimenti che si ottengono in tempi rapidi e accelerati, negli ultimi anni, dall’uso della telematica.
Ma spesso non basta un decreto ingiuntivo. Occorre allora avviare la fase dell’esecuzione, con la difficile (e triste) coda di pignoramenti e vendite giudiziarie: le esecuzioni di beni mobili avviate l’anno scorso in tribunale sono state oltre 300mila, mentre quelle sugli immobili sono state meno di 70mila.
Numeri elevati che però, dopo essere cresciuti fino al 2013, hanno imboccato negli ultimi anni la china della discesa. Segno, probabilmente, non tanto della fine della crisi, ma piuttosto, a monte, del calo dei prestiti concessi e delle transazioni fra imprese, oltre che della minor solvibilità dei debitori.
«Multe» e incidenti
Al di là del recupero crediti, sono soprattutto le contravvenzioni e gli incidenti stradali a far litigare i cittadini. Le «opposizioni alle sanzioni amministrative» – oltre che ai prefetti – possono essere presentate ai giudici di pace. E nel 2015 ne sono arrivate circa 200mila: tante, ma quasi il 35% in meno del 2013 e un quinto di quelle presentate nel 2009 (quasi un milione). Una riduzione provocata, con tutta probabilità, in primis dall’introduzione, nel 2010, del contributo unificato, allora di 30 euro, per avviare la causa; e poi, dal 2013, della possibilità di beneficiare di uno sconto del 30% sulla multa se si paga entro cinque giorni.
Buona parte del contenzioso ruota poi intorno agli incidenti stradali, ma anche qui i numeri sono in calo. Nel 2015 i ricorsi ai giudici di pace (competenti fino a 20mila euro) sono stati meno di 160mila, rispetto ai quasi 300mila del 2010. La diminuzione è iniziata nel 2012 , ma il crollo (-36%) è avvenuto tra il 2014 e il 2015, a causa della riduzione dei risarcimenti per le microlesioni.
Nel settore della famiglia, invece, sono le procedure stragiudiziali ad avere iniziato a sgravare i tribunali: le separazioni consensuali sono calate del 20% tra il 2014 e il 2015, con tutta probabilità proprio perché alcune coppie hanno scelto di dirsi addio in municipio o di fronte agli avvocati, con gli strumenti introdotti due anni fa.
Ma per gli operatori il vero responsabile della diminuzione delle iscrizioni in tutti i gradi di giudizio (tranne la Cassazione) è l’aumento del contributo unificato, ossia della tassa dovuta per l’avvio dell’iter giudiziario, mentre l’impatto dei percorsi alternativi è più limitato. «Alla base del calo c’è innanzitutto l’innalzamento dei costi della giustizia – dice il presidente dell’Ordine degli avvocati di Bari, Giovanni Stefanì –. I cittadini meno abbienti rinunciano, soprattutto se i valori non sono elevati. Anche perché il reddito-soglia per il patrocinio gratuito è troppo basso».
Le alternative al tribunale
Crisi economica e crescita dei costi sono al primo posto anche per il presidente degli avvocati romani, Mauro Vaglio: «La negoziazione assistita è utile soprattutto nelle liti minori e per separazioni e divorzi ma la vera causa della riduzione è l’incremento dei costi, che si traduce in una giustizia d’elite». Sui percorsi alternativi al tribunale punta, invece, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Remo Danovi: «Abbiamo fatto una campagna per incentivare l’utilizzo di questi strumenti, in particolar modo della negoziazione assistita. Ma ci vuole tempo perché si diffondano».
Giudizi ancora più scettici sulla mediazione: «Averla resa condizione di procedibilità della domanda ha generato più costi che benefici», commenta il presidente dell’Ordine di Torino, Mario Napoli. «Non ha conseguito gli effetti sperati perché obbliga le parti e aumenta i costi. Bisognerebbe piuttosto introdurre agevolazioni fiscali», aggiunge Stefanì.
Fra gli iter alternativi ai tribunali, quello che, di sicuro, non ha funzionato è il trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti pendenti in tribunale o in corte d’appello (Dl 132/2014). Finora è rimasto pressocché inutilizzato. «Abbiamo avuto 2mila domande di iscrizione nell’elenco, ma nessuna richiesta - dichiara Vaglio -. «Non funziona perché arriva quando la causa è radicata ed è difficile che le parti concordino di rivolgersi a un arbitro», spiega il presidente degli avvocati torinesi, Napoli.
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