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Per le regole sul rumore rischio di una retromarcia

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Per le regole sul rumore rischio di una retromarcia

Il regolamento europeo 305/2011 (Cpr), sostitutivo della direttiva 89/106/EC (Cpd) sui prodotti da costruzione indica tra i sette requisiti essenziali di un edificio la protezione dal rumore. In Italia gli obblighi relativi a tale requisito sono espressi dal Dpcm del 5 dicembre 1997 (in vigore dal 19 febbraio 1998). Questo, se da una parte ha dato impulso alla concreta attuazione del rispetto di tale requisito (dal 1998 ad oggi le prestazioni acustiche degli edifici si sono decisamente innalzate), dall’altra è affetto da errori d’impostazione. Serve quindi una nuova legislazione.

Su sollecitazione del ministero dell’Ambiente, l’Uni ha elaborato la norma tecnica Uni 11367:2010 sulla classificazione acustica delle unità immobiliari negli edifici. Tale norma potrebbe e dovrebbe essere recepita tale quale in una nuova legislazione. Invece sta circolando, senza mai essere stato reso ufficialmente pubblico, un progetto di Dlgs del ministero delle Attività produttive , giustificato sulla base della legge 161/2014, articolo 19, comma 2, lettera g). Sulla base del testo circolato in maniera ufficiosa tra gli addetti ai lavori va fatta una serie di osservazioni e critiche.

La legittimità del progetto di decreto è dubbia: le “procedure autorizzative” sembrerebbero essere quelle necessarie ad ottenere i titoli abilitativi (permesso di costruire, Scia, eccetera) e/o l’abitabilità. Dunque non potrebbero incidere sui valori limite dei requisiti acustici passivi.

Lo schema di decreto riprende solo in parte la Uni 11367 a cui dice di ispirarsi.

Il rispetto dei requisiti acustici passivi è obbligatorio solo per i nuovi edifici, cioè quelli realizzati dopo l’entrata in vigore del decreto (articolo 4). È opzionale per tutti gli altri. Questo implica un vero e proprio “colpo di spugna” sugli edifici realizzati sinora.

La classe di riferimento diviene la classe IV della Uni 11367, mentre la stessa norma Uni individua chiaramente la classe III (migliore della classe IV) come riferimento. La classe III è già meno restrittiva del vigente Dpcm del 1997. Dunque il nuovo decreto abbasserebbe i requisiti già vigenti per i nuovi edifici. Poco importa poi che all’art. 7 si indichi la classe III per i “valori di riferimento” del progetto: quelli che contano sono i valori riscontrati in fase di verifica, che sono quelli della classe IV. Anzi, così dicendo all’articolo 7, si ammette implicitamente che la messa in opera solitamente non rispetta il progetto. Le tabelle in pagina riassumono con chiarezza la situazione che si verrebbe a creare.

Nella bozza di decreto manca una chiara definizione di ristrutturazione, totale o parziale, e manca un’individuazione chiara dei relativi valori limite – ovvero della classe di prestazione – per le ristrutturazioni. Al massimo si dice (articolo 4) che devono essere «tali da evitare il peggioramento dei requisiti acustici preesistenti (...)». Se però l’atto di compravendita non riporta nulla (cosa probabilissima perché la classificazione obbligatoria entrerebbe in vigore solo dal 2016), nessun obbligo sussiste. Eppure basterebbe fare riferimento al Dpr 380/2001, articolo 3, che definisce gli interventi di recupero.

Nello schema di decreto la classificazione acustica deve essere riportata, nei soli casi previsti, per gli elementi edilizi. La classificazione complessiva di un’unità immobiliare, che è la cosa più facile da comprendere per il comune cittadino, è soltanto facoltativa: all’articolo 6, comma 2, punto k) si dice infatti che «può essere riportato anche l’indice unico di classificazione dell’unità immobiliare indicato dalla norma Uni 11367».

I Comuni non hanno più obblighi di controllo dei requisiti acustici passivi ma solo di richiedere attestazioni cartacee a costruttori e direttori lavori, rese come dichiarazione sostituiva di atto di notorietà (articolo 9).

Sono previste sanzioni (articolo 11: da 2mila a 50mila euro per unità immobiliare), tuttavia il loro l’impatto è molto ridotto a causa della non obbligatorietà della classificazione acustica per tutto quanto costruito sinora.

A fronte di tante criticità, un’unica nota positiva: nell’ultima versione circolata sono stati introdotti valori di riferimento per la riverberazione sonora e l’intelligibilità del parlato all’interno di scuole ed ospedali, più aggiornati di quelli vigenti. In conclusione, si potrebbe fare meglio, e molto più semplicemente: basterebbe recepire integralmente la norma Uni 11367, senza compromessi. Siamo ancora in tempo.

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