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Anatocismo, da domani in vigore le nuove regole

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Anatocismo, da domani in vigore le nuove regole

Da domani, 1° ottobre 2016, la materia dell’anatocismo con riferimento ai contratti bancari - quindi a mutui, finanziamenti, affidamenti, scoperti di conto e aperture di credito - dovrebbe avere una regolamentazione stabile e definitiva dopo anni di polemiche, sentenze e andirivieni del legislatore.

Da tale data, infatti, le banche devono necessariamente adeguarsi al disposto del decreto del ministro dell’Economia (nella sua qualità di presidente del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) n. 343 del 3 agosto 2016, il quale finalmente attua l’articolo 120 del Testo unico bancario (Tub) che, a sua volta, contiene i principi direttivi per la disciplina dell’anatocismo bancario, demandando però la concreta regolamentazione della materia appunto a una determinazione del Cicr.

Interessi debitori e di mora

Il Dm 343/2016 contiene anzitutto (nell’articolo 3) l’affermazione di principio, recata anche dall’articolo 120 Tub, in base al quale nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, «gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi, salvo quelli di mora».

Se il generale divieto di anatocismo così affermato è chiaro, non chiaro è invece il punto se, nello specifico caso dell’anatocismo inerente gli interessi di mora, questi decorrano “in automatico”, per il solo fatto dell’inadempimento del cliente o se, trattandosi comunque di interessi (seppur moratori) su interessi (di natura convenzionale), debba ricorrere - affinché gli interessi moratori siano dovuti - anche il presupposto in base al quale, per prescrizione del codice civile, l’anatocismo si produce (vale a dire, ai sensi dell’articolo 1283 del Codice civile, la proposizione di una domanda giudiziale del creditore contro il debitore).

Quest’ultima tesi appare peraltro come l’esito di una lettura eccessivamente rigorosa della combinazione tra l’articolo 120 del Tub e l’articolo 1283 del Codice civile, mentre l’opinione della produzione “automatica” degli interessi moratori appare una soluzione non solo più fisiologica in diritto (anche perché assai più aderente al tenore letterale del Dm 343) ma anche più opportuna nella prassi quotidiana dei rapporti banca/cliente.

Contabilizzazione ed esigibilità

Il Dm 343, in tema di conto corrente e conto di pagamento, ribadisce che:

gli interessi debitori e gli interessi creditori debbono avere la medesima periodicità, comunque non inferiore a un anno;

gli interessi devono essere conteggiati il 31 dicembre di ogni anno (o comunque al termine – se infrannuale – del rapporto per cui sono dovuti); anche per i contratti iniziati in corso d’anno, il conteggio si effettua comunque al 31 dicembre successivo.

Con specifico riferimento alle aperture di credito regolate in conto corrente (o conto di pagamento) e agli sconfinamenti rispetto al fido accordato o che si verifichino su conti non affidati il Dm prevede poi che gli interessi debitori devono essere conteggiati separatamente dal capitale.

Quest’ultima prescrizione serve a impedire la capitalizzazione degli interessi e, quindi, serve a far sì che, scaduto l’anno, gli interessi corrispettivi continuino a calcolarsi sul solo capitale, e non, in modo anatocistico, sulla somma del capitale e degli interessi prodottisi nell’anno precedente.

Quanto poi alla sorte degli interessi maturati in un dato anno e così conteggiati separatamente, divengono esigibili dal creditore (e dovuti in pagamento dal debitore) il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui essi sono maturati (e, comunque, non prima del trentesimo giorno successivo a quello nel quale il cliente riceve la comunicazione dell’entità degli interessi maturati a suo debito nell’anno precedente, ciò che normalmente avviene, nel mese di gennaio, con la trasmissione dell’estratto conto del mese di dicembre).

Una volta che gli interessi corrispettivi divengono esigibili succede dunque che:

a) se il cliente li paga, la vicenda si chiude e gli interessi corrispettivi continuano a essere calcolati sul solo capitale;

b) se il cliente ne autorizza o ne ha autorizzato l’addebito in conto (si tratta di un’autorizzazione revocabile in qualsiasi momento), inevitabilmente, per effetto dell’addebito, si “trasformano” in capitale e, quindi, da quel momento, gli interessi corrispettivi devono essere calcolati su un importo rappresentato dalla somma del capitale finanziato con gli interessi divenuti capitale per effetto dell’avvenuto loro addebito in conto;

c) se il cliente non li paga e non ne autorizza l’addebito in conto, il rapporto tra banca e cliente entra nella dimensione patologica dell’inadempimento e, pertanto, si determina il presupposto per l’applicazione degli interessi moratori (con il problema, di cui s’è già parlato sopra, di capire se, per la loro produzione, occorra la domanda giudiziale prevista dall’articolo 1283 del Codice civile o se, come pare meglio, essi si rendano dovuti per il solo fatto dell’inadempimento del debitore); nel contratto tra banca e cliente può essere convenuto che i fondi accreditati nel conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento siano impiegati per estinguere il debito da interessi.

I contratti in corso

Come già osservato, le banche devono applicare il decreto 343, al più tardi, agli interessi maturati a partire dal 1° ottobre 2016.

Quanto ai contratti in corso, alla loro variazione le banche possono procedere unilateralmente per il loro adeguamento alle nuove norme. Deve però essere richiesta l’autorizzazione del cliente per l’addebito in conto degli interessi corrispettivi divenuti esigibili.

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