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Il baccano da movida è un reato

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CASSAZIONE

Il baccano da movida è un reato

(Fotogramma)
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Niente particolare tenuità del fatto per il legale rappresentante di un locale nel quale la musica viene “sparata” a tutto volume, in modo da impedire il sonno di chi abita nelle vicinanze. La Corte di cassazione, con la sentenza 42063 depositata ieri, respinge un ricorso contro la condanna per il reato previsto dall’articolo 659 del Codice penale, che tutela le occupazioni o il riposo delle persone.

Al ricorrente (un locale della movida dell’hinterland milanese) era contestata la violazione del comma che punisce indistintamente chi con gli schiamazzi o con la musica, nell’ambito di uno spettacolo o di un luogo di ritrovo o nel corso di un intrattenimento pubblico, turba la “quiete” del vicinato.

Secondo il ricorrente, al più la sua condotta poteva essere inquadrata come illecito amministrativo che scatta quando i limiti di emissione sonori vengono superati esercitando un’attività o un mestiere rumoroso (articolo 10, comma 2 legge 447/1995).

Per la Cassazione però non è così. I giudici pur consapevoli di indirizzi contrastanti sul tema, affermano che è configurabile la violazione sanzionata dal comma 1 dell’articolo 659 del Codice penale, quando l’attività viene svolta andando oltre le normali modalità di esercizio, tanto da turbare la pubblica quiete. E che questo sia avvenuto nel caso esaminato emerge da una fitta serie di testimonianze e di esposti alle autorità. Atti dai quali risulta addirittura che alcuni abitanti esasperati avevano venduto la casa pur di trovare un po’ di pace.

Inutile per il ricorrente affermare il diritto alla non punibilità, previsto dall’articolo 131-bis . Per la Cassazione correttamente il giudice di merito ha escluso l’accesso alla norma “di favore”, in virtù dell’intensità del dolo e della gravità dell’offesa. La Suprema corte precisa che il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione «complessiva e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto della modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e del danno o del pericolo». Nel caso esaminato a “deporre” contro il ricorrente c’erano la negazione delle circostanze attenuanti e l’applicazione di una pena molto vicina al massimo edittale, proprio in considerazione della gravità del reato (articolo 133, comma 1 del Codice penale).

Per i giudici della Terza sezione penale, l’articolo 131-bis può essere applicato solo quando, in virtù del principio di proporzionalità, «la pena in concreto applicabile risulterebbe inferiore al minimo edittale, determinato tenendo conto delle eventuali circostanze attenuanti».

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