Va accolta la richiesta di rimborso Irap presentata dal componente di uno studio associato relativamente all’Irap versata sui compensi percepiti per incarichi di controllo ed amministrazione ricoperti in società ed enti, fatturati nell’ambito della posizione personale, priva di dipendenti e di beni strumentali di rilievo.
Affermato dall’ordinanza 19327/2016 della Cassazione depositata lo scorso 29 settembre, il principio può portare a nuove richieste di rimborso da parte dei professionisti che, prudentemente, si sono comportati diversamente, nonché, per l’anno d’imposta 2015, alla presentazione di dichiarazioni integrative.
L’orientamento della Suprema Corte, inoltre, può essere certamente esteso anche ad altre attività, come ad esempio quella di amministratore di condominio o di arbitro, svolte, in autonomia dai singoli componenti l’associazione professionale. Associazione che, anche sulla base della risposta del ministero dell’Economia del 6 ottobre 2016 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 7 ottobre 2016) è chiamata comunque a versare l’Irap sui compensi percepiti.
Il ricorso
La pronuncia interviene a seguito del ricorso presentato dall’agenzia delle Entrate contro una decisione di secondo grado che aveva riconosciuto il rimborso dell’Irap versata da un dottore commercialista, che svolge la propria attività principalmente come membro di uno studio associato, ma anche in autonomia, come sindaco, revisore e amministratore di società ed enti. Nonostante nell’ambito della posizione personale sussistessero indubbiamente i presupposti per l’esonero da Irap, l’agenzia delle Entrate insisteva per la negazione al rimborso, sostenendo sostanzialmente che l’autonoma organizzazione sarebbe da presumere in virtù della partecipazione del contribuente alla associazione professionale, la quale attrarrebbe nel proprio ambito anche il valore aggiunto prodotto in autonomia.
La casistica
Richiamando la propria giurisprudenza consolidatasi negli anni (si veda la tabella in pagina), la Cassazione rigetta il ricorso delle Entrate, ribadendo che spetta al giudice di merito verificare se l’attività di cui si chiede l’esonero dal tributo regionale venga concretamente svolta non solo senza organizzazione propria, ma anche in autonomia, singolarmente e separatamente dall’attività svolta per conto della associazione professionale. Analisi che, nel caso di specie, la Ctr aveva compiutamente motivato.
Dall’esame della giurisprudenza della Corte sul tema si possono trarre alcune riflessioni di portata generale. In primo luogo, il principio di diritto ora ribadito può estendersi anche ad altre attività svolte personalmente (e senza l’ausilio dell’organizzazione dello studio associato) da parte del professionista, quali quelle di consulente tecnico del Tribunale, arbitro, docente in corsi di aggiornamento e convegni di approfondimento, amministratore di condominio e così via.
I requisiti
In tutti questi casi, agendo in rimborso, il professionista dovrà dimostrare:
di non possedere individualmente quell’autonoma organizzazione che viene richiesta per il presupposto impositivo Irap;
che appare credibile che per le menzionate attività il professionista non si avvalga delle strutture dello studio associato.
Quest’ultimo onere probatorio appare tanto più difficile da assolvere quanto più l’attività svolta singolarmente si presenta tale da richiedere, oltre alle capacità del professionista, l’apporto di personale di segreteria, l’uso di strumentazioni di cui il professionista singolo non ha la disponibilità e così via.
Va, comunque, osservato che, laddove il contenzioso non sorga da una richiesta di rimborso ma da un accertamento, è l’Amministrazione a dover dimostrare (e non solo presumere) che il professionista si avvale della struttura dello studio associato anche per le attività fatturate singolarmente. Secondo la Cassazione, il principio di attrazione nell’ambito del reddito di lavoro autonomo dei compensi percepiti dagli incarichi di sindaco, revisore, amministratore, commissario giudiziale e così via (tipico dell’Irpef) non si estende all’Irap.
Per cui, anche il professionista non associato è ammesso a dimostrare che questi incarichi vengono svolti senza avvalersi della struttura organizzata con cui esercita la propria attività “tipica”. In questo caso, tuttavia, l’onere probatorio si estende alla distinta individuazione dei relativi compensi (e, aggiungiamo, dei relativi costi): in tal senso si veda anche la circolare 2/Ir/2008 del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Cndcec). Va, peraltro, considerato che il contenzioso è pressoché certo, stante l’attuale posizione di chiusura delle Entrate (risoluzione 78/E/2009).
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