Il padrone dei cani che, lasciati incustoditi, mordono una passante, può non essere punito se la condotta rientra nella particolare tenuità del fatto prevista dall’articolo 131-bis del Codice penale. E la decisione, con riferimento all’articolo citato, può essere presa anche dal giudice di pace.
La Corte di cassazione, con la sentenza 40699 del 29 settembre scorso, accoglie il ricorso del proprietario di cani contro la sentenza con la quale era stato condannato per lesioni colpose (articolo 590 del Codice penale) perché per colpa, «non curando la custodia con le dovute cautele dei propri quattro cani ,ed omettendo adeguato controllo sugli stessi totalmente liberi nel movimento, non impediva che potessero generare pericolo per l’incolumità delle persone». In effetti, uno dei cani aveva morso una passante, causandole una ferita giudicata guaribile in 15 giorni.
Il ricorrente affermava il suo diritto alla non punibilità, proprio in virtù della scarsa gravità delle lesioni causate alla vittima. La Cassazione ha accolto la richiesta, anche in considerazione della non abitualità del comportamento contestato.
I giudici della quarta sezione penale della Cassazione, con la sentenza 40699, prendono così le distanze dalla precedente giurisprudenza (sentenza 31920 del 2015), secondo la quale il beneficio introdotto dal Dlgs 28/2015, che prevede la non punibilità quando il reato è considerato di lieve entità, sarebbe inapplicabile se si discute di un reato che rientra nel raggio d’azione del giudice di pace. In tal caso, secondo la giurisprudenza disattesa, si sarebbe infatti dovuto applicare l’articolo 34 del Dlgs 274 del 2000 , che regola la particolare tenuità del fatto nei procedimenti davanti al giudice di pace, al quale viene attribuito il potere- dovere di chiudere il procedimento, sia prima che dopo l’esercizio dell’azione penale, quando il fatto risulti di particolare tenuità rispetto al bene tutelato. Il “no” a un allargamento dell’articolo 131-bis alle cause davanti al giudice di pace è supportato dalla circostanza che la Commissione giustizia, in sede di esame del Dlgs del 2015, invitava il Governo a valutare l’opportunità di coordinare la disciplina prevista dall’articolo 34 del Dlgs 274 con quella prevista dall’articolo 131-bis. Sollecitazione che era stata respinta. Ma questa scelta - sottolinea la Cassazione - era stata fatta solo perché l’indicazione della Commissione era considerata estranea alle indicazioni della legge delega. Per questo spetta all’interprete appianare possibili interferenze tra le diverse disposizioni.
E la Suprema corte fornisce la sua lettura, sottolineando in primo luogo che la sentenza 31920 è precedente alla decisione con la quale le sezioni unite (sentenza 13681 del 2016), pur non affrontando in particolare il tema, hanno sottolineato il carattere assolutamente generale dell’istituto. La Cassazione precisa poi che la tesi negativa non è supportata da alcuna norma, mentre proprio le differenze tra i due istituti inducono a ritenere che la disciplina, sostanzialmente di maggior favore, prevista dall’articolo 131-bis del Codice penale sia applicabile, nel rispetto dei soli limiti indicati dalla norma, a tutti i reati, compresi quelli di competenza del giudice di pace. Del resto - conclude la Cassazione - sarebbe altamente irrazionale, e contrario ai principi generali, che la disciplina sulla tenuità del fatto - che trova la sua ispirazione proprio nel procedimento davanti al giudice di pace - sia inapplicabile nell’ipotesi di reati attribuiti alla competenza di quest’ultimo, facendo in questo caso riferimento a quelle specifica e stringente dell’articolo 34.
Su queste basi la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non è punibile, a norma dell’articolo 131-bis del Codice penale.
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