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La voluntary-bis alla ricerca del contraddittorio

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analisi

La voluntary-bis alla ricerca del contraddittorio

La riapertura della voluntary disclosureera molto attesa dagli operatori. Questo anche grazie all’approccio “collaborativo” dimostrato dagli uffici dell’agenzia delle Entrate in questo anno di lavoro. In effetti, la scelta vincente della voluntary disclosure è consistita proprio nel contraddittorio Fisco-contribuente, al fine di risolvere le problematiche riscontrate dagli uffici in sede di istruttoria. In questo modo, eventuali dimenticanze o errori sono stati emendati, senza che questo abbia pregiudicato la voluntary disclosure e i suoi effetti (circolare 31/E/2015).

Per la voluntary disclosure «2.0» il Dl 193/2016 ha previsto la possibilità, per il contribuente, di autoliquidare gli importi dovuti a titolo di imposta, sanzioni e interessi entro il prossimo 30 settembre 2017. In caso di autoliquidazione, il contribuente potrà godere di un abbattimento superiore delle sanzioni, al momento equivalente alla prima edizione della voluntary disclosure, pari al 75% del minimo edittale, per le violazioni relative alle imposte sui redditi, sostitutive, Ivie e Ivafe, e alla metà del minimo edittale per le violazioni degli obblighi di monitoraggio fiscale. In caso di versamenti ritenuti insufficienti in sede di controllo, è previsto che il contribuente provveda a integrare quanto dovuto con il pagamento di una sanzione addizionale, a seconda dei casi, del 3% o del 10 per cento.

Stando così le cose, c’è da aspettarsi che l’autoliquidazione diverrà la regola per la voluntary disclosure «2.0». Per questo, l’auspicio è che, seppure attualmente non previsto dalla norma, sia ugualmente garantito al contribuente un contraddittorio preventivo con l’agenzia delle Entrate, così da condividere e capire le eventuali rettifiche operate dagli uffici all’autoliquidazione proposta dal contribuente. Questo per evitare che l’approccio collaborativo e costruttivo adottato finora dagli uffici venga vanificato dalla nuova procedura di voluntary disclosure, rivivendosi quanto sta accadendo in alcune verifiche in materia di scudo fiscale.

Si è sempre detto che scudo fiscale e voluntary disclosure sono diversi. In realtà, quello che ha più distinto lo scudo fiscale dalla voluntary disclosure è stato proprio rappresentato dalla modalità di accesso, gestione e chiusura della procedura. Nella voluntary disclosure il contribuente ha avuto la possibilità di vedere condivisi i conteggi fatti e di addivenire a un accordo con l’ufficio che, una volta concluso, lo ha messo al riparo da contestazioni future. Con lo scudo fiscale, viceversa, la procedura di sanatoria è stata gestita dal contribuente in completa autonomia e anonimato, senza alcun contradditorio preventivo con l’agenzia delle Entrate, come del resto previsto dalla norma.

Quello che qui più preoccupa è che l’approccio, invero poco collaborativo, adottato da alcuni uffici dell’agenzia delle Entrate, nei controlli in materia di scudo fiscale, sia replicato anche alle procedure di autoliquidazione della voluntary disclosure «2.0». Si ha, ad esempio, notizia di accertamenti emessi dagli uffici per la lamentata discrepanza tra quanto indicato nella dichiarazione riservata e quanto il contribuente dimostri di possedere alla data del 31 dicembre 2008, pure a fronte di irregolarità solo formali, laddove (oltretutto) la fonte di innesco della presunta “novella ricchezza”, l’articolo 12 del Dl 78/2009, non potrebbe trovare legittima applicazione in assenza di violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale nell’anno di presentazione della dichiarazione riservata.

È evidente che c’è qualche cosa che non va in verifiche condotte in questa maniera. Per questo, è indispensabile che quanto fatto finora in ambito di voluntary disclosure costituisca una good practice per il futuro e per tutte le verifiche condotte dall’agenzia delle Entrate nelle procedure di regolarizzazione attivate dal contribuente.

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