Norme & Tributi

Boom di accordi fiscali tra paesi Ue e multinazionali: +160% in due…

  • Abbonati
  • Accedi
in due anni +160%

Boom di accordi fiscali tra paesi Ue e multinazionali: +160% in due anni

Lo scandalo LuxLeaks non ha frenato la corsa agli accordi fiscali tra i paesi dell'Unione europea e le multinazionali. Le intese sui cosiddetti tax ruling continuano a crescere con percentuali a due cifre. Dai 547 accordi siglati nel 2013 si è passati ai 972 del 2014, fino a raggiungere i 1.444 in vigore nell'Unione europea alla fine del 2015. Si tratta di una crescita di oltre il 160% in due anni (2013-2015) e di un aumento di quasi il 50% dal 2014 al 2015. A denunciare il fenomeno è il nuovo rapporto della rete Eurodad, un network di 47 organizzazioni non governative di 20 paesi (per l'Italia ci sono Oxfam e Re:Common) dal titolo “Survival of the richest”.

I tax-ruling introducono di fatto regimi fiscali privilegiati che permettono alle corporation beneficiarie di ridurre drasticamente il carico fiscale sui propri utili globali, e spesso danno adito a pratiche elusive, erodendo la base imponibile in altri paesi e contribuendo a sottrarne le risorse erariali.

Lussemburgo e Belgio primi in classifica
Lussemburgo e Belgio sono in cima alla classifica dei paesi che hanno fatto ricorso a particolari accordi di tax ruling, gli “advance pricing agreements” (Apa), utilizzati dalle multinazionali per ottenere l'approvazione da parte delle autorità fiscali dei criteri utilizzati nei cosiddetti transfer pricing, cioé i prezzi ai quali le corporation trasferiscono al loro interno i componenti, i servizi o i semilavorati dei prodotti che poi immettono sul mercato. Gran parte del commercio mondiale è costituito da scambi interni alle multinazionli e agire sui prezzi di trasferimento dei prodotti consente alle grandi corporation notevoli vantaggi fiscali, consentendo loro di contabilizzando i profitti nei paesi a bassa tassazione e le perdite in quelli ad alta fiscalità.

Nel 2015 questi particolari accordi di tax ruling in vigore in Lussemburgo erano 519, in Belgio 411 e in Olanda 236. L'Italia si collocava in sesta posizione con 68 accordi, poco sopra la media europea di 60.

«Il rapporto Eurodad - spiega Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia - presenta un'Europa ancora in chiaro-scuro sotto il profilo di alcune misure di giustizia fiscale che Oxfam ritiene imprescindibili per contrastare con efficacia gli abusi fiscali di corporation e individui facoltosi e arginare la corsa al ribasso in materia fiscale fra i Paesi. L'Italia può e deve giocare un ruolo propulsivo e progressista in fase di negoziato nei processi di riforma fiscale continentale e nel recepimento più ambizioso di direttive già approvate, dando prova di un Paese attento alle questioni di giustizia fiscale».

Il ruolo dell’Italia
Lo scandalo LuxLeaks e le decisioni della Commissione europea sugli accordi tra Apple e Irlanda, tra Fiat e Lussemburgo e tra Starbucks e Olanda hanno fatto emergere come gli accordi permettano alle multinazionali di avere dei regimi fiscali privilegiati e segreti che possono essere assimilati ad aiuti di stato. A questo proposito gli autori dello studio sottolineano come nell'Unione europea stia crescendo il sostegno verso misure di trasparenza sui beneficiari effettivi di società, fondazioni e trust.

Per la prima volta infatti il gruppo dei Paesi favorevoli all'introduzione di registri pubblici centralizzati dei titolari effettivi è maggioritario rispetto ai Paesi contrari. Si registra anche qualche segnale positivo nel supporto a misure di maggiore trasparenza societaria con un incremento dei Paesi schierati a sostegno dell'obbligo di rendicontazione pubblica paese per paese per le grandi multinazionali che operano nella Ue.

Nonostante l'impulso al processo di armonizzazione fiscale nella Ue, che è esplicitato nel sostegno ai principi cardine di una base imponibile comune consolidata per l'imposta sulle società, l'Italia ottiene però un giudizio tendenzialmente negativo sugli indicatori analizzati.

A favore di questo giudizio ha giocato quella che gli autori dello studio definiscono una posizione poco progressista dell'esecutivo italiano sulle misure più ambiziose in materia di trasparenza fiscale. Non è infatti noto - si spiega nel rapporto - il posizionamento dell'Italia rispetto a una autentica rendicontazione pubblica paese per paese e preoccupa la propensione a non garantire al vasto pubblico l'accesso incondizionato ai registri dei titolari effettivi di società e fondazioni, concedendolo esclusivamente a una ristretta platea di “portatori di legittimo interesse”. A questi fattori si aggiunge il carattere considerato «estremamente restrittivo» di alcuni trattati fiscali tra l'Italia e alcuni Paesi in via di sviluppo come la Repubblica Democratica del Congo. Completa il quadro la mancanza di supporto dell'Italia all'organismo intergovernativo in materia fiscale sotto gli auspici dell'Onu.

Le 12 raccomandazioni
Il rapporto elelnca anche 12 raccomandzioni ai governi europei. Tra queste c'è l'invito ad adottare registri dei titolari effettivi di società, fondazioni, trust e strutture legali simili, con informazioni completamente ed incondizionatamente accessibili al pubblico e disponibili in formato open data leggibile da un'applicazione informatica; a introdurre per tutte le grandi multinazionali l'obbligo di rendicontazione pubblica paese per paese; a realizzare e pubblicare analisi di tutte le politiche fiscali nazionali e comunitarie, comprese le società veicolo, i trattati fiscali e gli incentivi per le imprese multinazionali; a garantire che il nuovo standard globale sullo scambio automatico di informazioni, sviluppato dall'Ocse, includa un periodo di transizione per i paesi in via di sviluppo che attualmente non sono in grado far fronte a richieste di scambio automatico di informazioni per via della debolezza strutturale delle loro amministrazioni fiscali; ad adottare misure efficaci di protezione dei whistleblower per tutelare chi agisce nell'interesse pubblico.

© Riproduzione riservata