Il campo di gioco è quello, sterminato, dei Panama Papers, giocatori i dirigenti di altissimo profilo delle agenzie fiscali di 30 paesi da quattro continenti. L’obiettivo della partita iniziata nei giorni scorsi a Parigi - sede Ocse - contro la grande evasione internazionale sono però gli intermediari fiscali, le istituzioni finanziarie, i consulenti, gli avvocati e i commercialisti che hanno aperto e favorito la fuga in paradisi fiscali.
Protagonisti del più grande scambio brevi manu di informazioni molto sensibili - fino a pochi anni fa segretissime - sono stati i delegati del Joint International Tax Shelter Information and Collaboration (Jitsic), un coordinamento nato 13 anni fa, ma che solo dal 2014 è stato rimodellato per combattere efficacemente l’evasione internazionale. A Parigi hanno varato una terapia d’urto contro i nominativi contenuti negli oltre 11 milioni di file (per 210mila società in 21 giurisdizioni offshore) venuti a galla nella primavera dello scorso anno. Non più una guerra “nazione per nazione” contro gli evasori emergenti - come nella lista Falciani, per intenderci - ma uno studio integrato a 360 gradi per capire chi sono e come operano i creatori delle fughe dalle tasse e dei rimbalzi offshore.
Nel comunicato ufficiale tradotto in venti lingue si parla di «approfondire la conoscenza delle varie tipologie di evasione fiscale messe a punto dagli intermediari fiscali e delle nuove tecniche di analisi dei dati» e si specifica che «l’incontro si è concentrato sulla figura degli intermediari». È questo il dato rilevante della due giorni parigina, molto più dei 700 contribuenti italiani che da alcuni mesi e per i prossimi verranno raggiunti da questionari e richieste di informazioni che li metteranno ai margini anche della nuova voluntary disclosure (varata in Italia lo scorso 22 ottobre e attiva fino al prossimo 31 luglio).
«I dati sui (mancati) contribuenti sono cristallizzati, quello di nuovo che è emerso a Parigi sono le modalità standardizzate con cui è stato costruito questo enorme impianto di elusione/evasione fiscale», dice uno dei partecipanti al tavolo violando la consegna del silenzio. I delegati del Jitsic hanno infatti incrociato dati su banche, studi di consulenza, studi legali, commercialisti e accountants che hanno “creato” e spinto il nero verso i 21 lidi offshore (nell’ambito di un quadro legale a tenuta stagna, garantiscono dall’Ocse, spegnendo così le speranze in ricorsi per abuso di “confidenzialità”).
È evidente che questa tappa parigina segna una svolta nella lotta alla rete internazionale del nero, spostando i fari delle agenzie fiscali sulle infrastrutture e sui loro “gestori” - e prima ancora sui realizzatori - , al posto di procedere in modo frammentario “contribuente per contribuente”.
Nel frattempo come effetti “secondari”, spiegano gli organizzatori, «sono stati ottenuti progressi importanti anche per l’attività di compliance, con oltre 1.700 controlli e verifiche effettuati sui contribuenti, più di 2.550 richieste di informazioni e l’individuazione di una lista target di 100 intermediari». Intermediari sui quali ora si accede il faro, tra gli altri, delle verifiche antiriciclaggio.
Dell’operazione Parigi non può sfuggire la cronologia. Dal 1° gennaio scorso è partita la raccolta dati per lo scambio automatico di informazioni, che nella maggior parte dei paesi diventerà operativa (cioè “scambiabile”) dal prossimo anno. Il 2017, in sostanza e sopratutto in Italia, è l’ultima chance per allineare la compliance dei contribuenti. Nonostante i ripetuti campanelli d’allarme suonati a beneficio di evasori incalliti, la Vd 2.0 nel nostro paese sta facendo molta fatica a decollare, a dispetto delle stime di Bankitalia che intravede almeno altri 180 miliardi rimbalzati da ex-paradisi in paradisi. La nuova cooperazione internazionale, che si inserisce in regole sempre più invasive (della privacy del contribuente) oggi ci ricorda che il tempo delle fughe al sicuro sta per finire.
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