I rilevatori fissi di velocità devono essere ubicati esattamente nel punto in cui la loro installazione è stata autorizzata dall’ente proprietario della strada, altrimenti le multe non sono valide: non basta che le postazioni si trovino al chilometro indicato nell’autorizzazione e nemmeno al metro, ma occorre pure che siano sul lato della strada eventualmente previsto dall’atto stesso. I controlli temporanei (quelli presidiati da agenti) non si possono organizzare senza fermare subito i trasgressori, se effettuati nei tratti non inclusi nei provvedimenti prefettizi che vi prevedono l’esonero dall’obbligo di contestazione immediata dell’infrazione.
Sono i vincoli principali che emergono dalla giurisprudenza ormai copiosa sugli autovelox che si sta consolidando in Molise, dov’è sorto un contenzioso aspro. Vi sono stati affermati princìpi restrittivi per le polizie. E talvolta, come per la contestazione immediata, fuori da giurisprudenza prevalente e prassi ministeriali.
La conformità della postazione fissa all’autorizzazione del gestore pure riguardo al lato della strada su cui si trova è affrontata dalla sentenza 185/2014 del Giudice di pace coordinatore di Isernia, ora confermata dal Tribunale (sentenza 119/2017 del 10 febbraio).
In primo grado, è stata respinta la tesi secondo cui conta solo la progressiva (km 36+777, nella fattispecie) riportata nell’autorizzazione. Infatti, l’atto del gestore (Anas) specificava anche «lato sinistro/direzione di marcia Venafro». Il consulente tecnico d’ufficio aveva negato importanza alla direzione indicata, scrivendo che nella prassi vale il senso che parte dal chilometro zero della strada, nella fattispecie quello contrario; il lato sinistro sarebbe quindi quello su cui la postazione si trova effettivamente. Ma per il giudice si deve stare alla lettera dell’autorizzazione, tranne se l’Anas attestasse errori materiali. E la prassi indicata dal consulente (Dm 1° giugno 2001 del ministero dei Lavori pubblici) riguarderebbe solo gli «attributi necessari della strada» e non anche i suoi «elementi atipici quali gli autovelox, disciplinati...da norme speciali».
In secondo grado, il ragionamento è stato ritenuto immune da vizi nonostante l’Anas avesse prodotto una nota che giustificava il Comune. Per il Tribunale, «l’atto autorizzatorio, una volta concesso, si stacca dal suo autore».
Questioni giuridiche a parte, non di rado le installazioni sono difformi per problemi pratici, come la mancanza di allacci elettrici. Ma, se l’autorizzazione impone un lato, può essere per motivi di sicurezza: sull’altro, la postazione può essere pericolosa negli urti.
Quanto all’obbligo di contestazione immediata, per i tratti non individuati dal Prefetto esso è ritenuto “assoluto” in una serie di sentenze iniziata nel 2014 con la n. 1524 del Giudice di pace di Campobasso: il mancato alt non può essere giustificato con motivazioni legate all’organizzazione del servizio, come la disponibilità di un apparecchio che determina l’infrazione quando il veicolo ha già superato il punto in cui si trovano gli agenti. La giurisprudenza di solito afferma che l’organizzazione non è sindacabile dal giudice (Cassazione, sentenza 6123/1999). La sentenza di Campobasso afferma invece che prevale il diritto alla difesa sancito dall’articolo 24 della Costituzione. La sentenza 556/16 del Giudice di pace di Isernia prende atto dell’autonomia dell’amministrazione nell’organizzarsi, ma ritiene che il magistrato possa valutare caso per caso con «prudente apprezzamento» se la contestazione immediata sarebbe stata possibile. E una «razionale organizzazione del servizio» l’avrebbe consentita, usando un altro tipo di apparecchio o schierando una doppia pattuglia. Entrambe cose già fatte in passato proprio dal Comune che ha accertato la violazione. E nonostante anche allora avesse un solo vigile: organizzava la doppia pattuglia consorziandosi con altri enti.
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