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La riforma che serve al processo tributario

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La riforma che serve al processo tributario

Il viceministro all’Economia, Luigi Casero (Ansa)
Il viceministro all’Economia, Luigi Casero (Ansa)

Di recente, per la verità, alcuni interventi di riordino sono stati realizzati sulla base di linee guida certamente condivisibili. In primo luogo, si è modernizzato il processo tributario, con l’efficientamento della ottemperanza e della esecutività delle sentenze, nonché con l’estensione della sospensione cautelare. Inoltre, si è inteso connotare il contenzioso come una extrema ratio, attraverso il potenziamento degli istituti deflattivi (conciliazione in secondo grado), oltre che di quello della soccombenza processuale.

L’auspicata finalità deflattiva ha certo ispirato anche la recente riforma del rito innanzi alla Suprema Corte, tesa a velocizzare la formazione di un provvedimento definitorio. In questo caso, però, non manca qualche forzatura. Nell’idea del legislatore, in questo riformato “terzo grado”, ci saranno più celerità e meno formalità, più memorie e meno contraddittorio processuale. La pubblica udienza, infatti, rimane obbligatoria sostanzialmente solo sulle questioni “di particolare rilevanza”. Quali sono? Questa è un’altra storia, che qualcuno prima o poi scriverà.

È evidente che se anche qualcosa è stato fatto, molto resta da fare.

In un quadro quale quello tratteggiato è chiaro che una valorizzazione dell’istituto della mediazione, più che una opzione, appare una vera e propria necessità. Si può pensare, ad esempio, di estenderne l’ambito applicativo alle cause il cui valore è inferiore a 100mila euro. Vanno poi riconsiderate le stesse modalità attuative. Perché affidare la mediazione all’agenzia delle Entrate, che svolge già un adeguato filtro, in un primo momento, attraverso l’ampio contraddittorio per l’emissione degli avvisi di accertamento e, in una seconda fase, nell’ambito dei procedimenti di accertamento con adesione? Avrebbe probabilmente più senso riservare la mediazione di queste cause, di valore bagatellare, a una fase pre-processuale, affidandone la gestione a giudici monocratici.

Certo, la mediazione da sola non può bastare perché, soprattutto in relazione a quelle cause di più rilevante entità e particolarità tecnica, rimane impellente la necessità di una professionalizzazione dei giudici tributari e, insieme, di un’ulteriore valorizzazione delle sezioni specializzate.

Intanto, però, si potrebbe pensare anche ad altri interventi. Per esempio, la rottamazione delle liti pendenti, un provvedimento che, senza limiti monetari, si porrebbe in una linea di ideale continuità con la rottamazione dei ruoli e che, anzi, contribuirebbe a eliminarne alcune evidenti illogicità. Per quale motivo non ha diritto ad accedere alla rottamazione chi ha avuto fino ad oggi esiti favorevoli nell’ambito del giudizio tributario (e, quindi, non ha ruoli da rottamare) o chi ha ruoli vistati nel 2016, ma trasmessi a Equitalia nel 2017? Allo stesso tempo, non si comprende se debba rinunciare integralmente agli atti chi ha un ruolo che copre non l’intero importo della contestazione, ma solo parte di esso (2/3). Ecco, la rottamazione delle liti pendenti avrebbe, in questa particolare prospettiva, la funzione non di un condono ma di “fare giustizia”: si metterebbe tutti sullo stesso piano per valutare se chiudere le proprie pendenze
con il Fisco.

Più in generale, la rottamazione delle liti pendenti contribuirebbe, poi, a creare le condizioni effettive per una giurisdizione fiscale più celere ed efficiente, riducendo il carico di fascicoli pendenti presso i giudici di merito o di legittimità. Sarebbe il primo, necessario, passaggio di una complessiva e organica riscrittura delle regole del processo tributario. L’obiettivo finale è ambizioso, ma merita di essere perseguito: raggiungere, finalmente, il giusto equilibrio tra diritto di difesa e celerità dei tempi di giudizio.
Perché, come diceva Montesquieu, la giustizia ritardata è giustizia negata.

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