Nonostante gli impegni, le promesse ed i programmi, il processo tributario non rappresenta evidentemente una priorità. Un’emergenza ed una criticità, forse, ma non anche una priorità. Del resto, solo così si può spiegare il fatto che di processo tributario si discuta oggi solo in termini di interventi emergenziali, come la definizione delle liti pendenti, lo slittamento della rottamazione dei ruoli, l'istituzione di una sezione stralcio della Cassazione (una sezione Quinta bis), mentre è sparito (nuovamente) dal dibattito ogni serio proposito di riforma. Anche il disegno di legge n. 988, che aveva l'ambizioso proposito di un “Codice del processo tributario”, risulta al momento accantonato. Eppure l'esigenza di mettere mano alla giustizia tributaria è avvertita da tutti. Sennonché, a parte la consapevolezza del problema, sembra che manchi una precisa volontà di risolverlo.
All'inaugurazione dell'anno giudiziario tributario, il Primo presidente della Corte suprema di cassazione, Giovanni Canzio, nel ricordare che oggi ben il 47% dei ricorsi in Cassazione civile è tributario, ha lanciato il grido di allarme che nei prossimi anni sarà raggiunta la quota del 65%: che, in altre parole, i due terzi dei ricorsi in Cassazione sarà tributario. Ma è chiaro che si sta parlando solo di un sintomo della malattia del sistema giustizia tributaria, nel senso che una qualsiasi misura destinata a ridurre una tantum la mole del contenzioso non potrà risolvere il problema. Ci si deve chiedere piuttosto quali sono le ragioni del fenomeno, così da intervenire direttamente su queste. E, con ogni evidenza, le cause appaiono essenzialmente due. Innanzitutto la professionalizzazione dei giudici, ossia di coloro che sono chiamati ad amministrarla. Con una scelta che appare oggi assolutamente irresponsabile, le controversie tributarie - che non solo per numerosità, ma anche per importi e complessità non possono certamente ritenersi marginali - sono infatti affidate a giudici onorari; a giudici, cioè, che giudicano “nel tempo libero” e, soprattutto, per compensi risibili. Certo, è una giustizia che funziona, almeno sul piano dell'efficienza, ma che lascia adito a molte riserve sul piano della qualità. E qui il problema si interseca con l'altra criticità della giustizia tributaria, ossia il giudizio di Cassazione, dove non vi è solo la questione del volume dei contenziosi e dell'arretrato ma anche il problema del sostanziale smarrimento della funzione nomofilattica della Corte, che sempre più spesso si contraddice, anche a distanza di pochissimo tempo, perdendo così il ruolo di guida per la giustizia di merito (che sempre più spesso si discosta dall'orientamento della Corte di legittimità) e per gli operatori (anche l'Agenzia). I due temi sono intersecati: con sentenze di merito redatte meglio, si dovrebbe assistere ad un calo del ricorso al giudice di ultima istanza, mentre con una giurisprudenza di Cassazione più univoca, convinta (non estemporanea) e convincente, si avrebbe non solo una giurisprudenza di merito più omogenea ma, al contempo, maggiori disincentivi a promuovere e proseguire istanze pretestuose.
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