Dagli indicatori congiunturali dell’andamento del mercato immobiliare vengono indizi che qualcosa inizia a muoversi, dopo quasi dieci anni di fiacca. Dal 2014 – sia pure con percentuali diverse – aumentano le compravendite e i mutui, favoriti anche dai bassi interessi (2,1% il tasso medio praticato a gennaio, secondo l’Abi: era il 5,72% a fine 2007). Ma sono segnali ancora troppo deboli per parlare di un rilancio del settore, e per vederne gli effetti sia sul Pil sia sul mercato del lavoro.
La disponibilità di credito è un fattore certamente importante per finanziare le famiglie che devono acquistare le case e le imprese che devono realizzare gli interventi, che si spera siano soprattutto di ristrutturazione e recupero del patrimonio esistente. Tuttavia, se consideriamo l’enorme liquidità creata dalla Bce e i tassi ai minimi, pare evidente che non è solo dal lato del credito che bisogna spingere per tirare fuori il mercato dallo stallo in cui si trova.
Bisognerebbe allora indagare sull’origine della crisi. Le cause sono molteplici, ma si possono escludere dal novero degli imputati le politiche del credito facile, tipo subprime negli Usa.
Il confronto tra i prezzi delle case i redditi delle famiglie, invece, è un fattore importante per decifrare il mercato. Fatto 100 il livello di queste due variabili nel 2004, cioè prima dell’inizio della crisi, nel 2008 il numero-indice del prezzo delle abitazioni era diventato 25 punti percentuali più alto di quello del reddito medio delle famiglie (dati Omi, agenzia delle Entrate). Ciò significa che per le famiglie si erano fortemente ridotte le possibilità di acquistare una casa già prima che la crisi iniziasse. Anzi, l’apertura della forbice tra prezzi e redditi è stata certamente un importante fattore di innesco della crisi, che nei primi anni è stata alimentata anche da un aumento del divario. Il distacco ha iniziato poi a ridursi, fino ad attestarsi sui 10 punti: in particolare, mentre il livello dei redditi rimaneva sostanzialmente invariato, i prezzi delle case si sono ridotti a causa della prolungata depressione della domanda (Scenari Immobiliari rileva per l’usato una media di 2.180 euro al metro quadrato nel 2016, il 25% in meno rispetto ai massimi del 2007).
In questa e nella precedente legislatura sono state promosse alcune misure di incentivazione fiscale e monetaria che, di fatto, avrebbero dovuto rendere meno oneroso l’acquisto di una casa. Pur in assenza di un monitoraggio degli effetti, è probabile che non abbiano mosso molto, anche se l’intenzione che le aveva ispirate era quella di restringere la forbice prezzi-redditi.
Il mercato sarebbe sicuramente aiutato da una ripresa dell’economia che, facendo crescere occupazione e reddito, darebbe alle famiglie più possibilità di sostenere l’acquisto di una casa. Ma, nel frattempo, un’accelerazione dell’adeguamento dei valori delle case alle possibilità economiche delle famiglie che hanno intenzione di acquistarne una, può venire soprattutto da una riduzione dei prezzi. Quanto più le due lame della forbice si avvicinano, tanto più il mercato ne trarrà beneficio, anche se questo potrebbe non far piacere ai venditori.
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