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La riforma del 5 per mille rimodula le scelte «senza indirizzo»

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il terzo settore

La riforma del 5 per mille rimodula le scelte «senza indirizzo»

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

La riforma del 5 per mille è uno dei punti cardine dell’attuazione della legge delega di riforma del terzo settore (106/2016): il testo del decreto attuativo sta raccogliendo gli ultimi nulla osta da parte dei ministeri competenti per approdare in Consiglio dei ministri nelle prossime settimane. La tabella di marcia dettata dalla delega infatti, impone tempi stretti: il Governo deve emanare i decreti di attuazione entro il 3 luglio prossimo, ma i testi devono essere trasmessi alle Camere 45 giorni prima, per raccogliere i pareri delle commissioni parlamentari.

I punti di intervento

Uno degli obiettivi della riforma, in base alle indiscrezioni trapelate dai tavoli tecnici, è cambiare il meccanismo di attribuzione del 5 per mille, modificando il sistema di ripartizione delle quote legate alle scelte generiche, cioè quelle assegnate dai contribuenti a un settore (ad esempio ricerca scientifica o ricerca sanitaria), senza indicare il codice fiscale di un ente specifico. Questa quota nel 2015 valeva quasi 63 milioni di euro, il 13% del totale delle somme assegnate. Oggi gli importi legati a queste scelte generiche sono ripartiti proporzionalmente tra gli enti iscritti nella categoria indicata dal contribuente, in base alla quota ottenuta da ciascun ente con le opzioni “esplicite”. Questo significa che la fetta maggiore delle somme “non optate” spetta agli enti già premiati dalle scelte dei contribuenti, mentre chi non ha beneficiato di alcuna assegnazione diretta non partecipa alla distribuzione di questa quota. Per correggere la disparità tra gli enti più premiati dalle scelte dirette e quelli meno gettonati, il decreto dovrebbe introdurre criteri più uniformi e assicurare così più equità nella distribuzione delle quote “non optate”, con attenzione agli enti che non siano già destinatari della parte più cospicua delle risorse.

Oltre a intervenire sulla parte alta della classifica dei beneficiari, la riforma dovrebbe intervenire anche sulla “coda”, razionalizzando un sistema per il quale oltre 2mila enti non ricevono alcun importo e circa 3mila incassano meno di 100 euro. La creazione del Registro unico nazionale del Terzo settore, previsto dalla legge delega, dovrebbe contribuire ad aggiornare anche l’elenco dei soggetti beneficiari del 5 per mille, tenendo conto di criteri sostanziali che fanno riferimento alle attività svolte dagli enti, e facendo “pulizia” degli enti non più attivi.

Un altro aspetto sul quale si soffermerà la riforma è la tempistica di erogazione delle somme ai beneficiari, che oggi avviene due anni dopo rispetto all’assegnazione da parte dei contribuenti. «Questo ritardo - spiega il sottosegretario al Lavoro con delega al terzo settore Luigi Bobba - è dovuto al fatto che il conteggio degli importi spettanti avviene dopo l’invio delle dichiarazioni integrative. La riforma punta ad assicurare l’erogazione entro l’anno successivo, assegnando gli eventuali altri importi in un secondo momento».

Un altro tema sul quale dovrebbe intervenire il decreto di riforma del contributo è quello delle campagne pubblicitarie di sensibilizzazione dei contribuenti sulla destinazione di questa quota dell’Irpef: il Dpcm del 23 aprile 2010 ha imposto il divieto di finanziare le campagne con somme provenienti dal 5 per mille. Il nuovo provvedimento potrebbe prevedere, invece, un tetto massimo per questo tipo di spesa.

La parte di riforma già fatta

Debutta da quest’anno, invece, l’obbligo di pubblicazione dei rendiconti sulle spese del 5 per mille, inviati dagli enti beneficiari ai ministeri competenti. Entro un anno dalla ricezione degli importi, gli enti dovranno redigere un rendiconto, accompagnato da una relazione illustrativa, dal quale risulti con chiarezza la destinazione delle somme ricevute. Le amministrazioni erogatrici del 5 per mille devono poi pubblicare questi rendiconti, entro un mese dalla ricezione, in una sezione ad hoc del proprio sito. Gli enti che incasseranno meno di 20mila euro non sono tenuti, salva espressa richiesta dell’amministrazione, a inviare il rendiconto e la relazione, che dovranno comunque essere redatti entro un anno dall’incasso degli importi e conservati per dieci anni. A stabilire questi obblighi è stato il Dpcm del 7 luglio 2016, in attuazione della legge 190/2014 (articolo 1, comma 154).

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