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Scatta il carcere per chi maneggia fumogeni allo stadio

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VIOLENZA IN LUOGHI PUBBLICI

Scatta il carcere per chi maneggia fumogeni allo stadio

(Ansa)
(Ansa)

L'uso di fumogeni allo stadio è sempre punito con il carcere: le manette scattano infatti non soltanto per chi lanci materialmente l'oggetto, ma anche per chi l'abbia semplicemente acceso. Lo puntualizza la Cassazione, con la sentenza 22315 depositata ieri, 9 maggio. E così i giudici della Suprema Corte hanno confermato i cinque mesi e dieci giorni di reclusione per un tifoso di Conversano che, nascondendosi dietro a un dito, pensava di farla franca imputando il lancio dell'oggetto ad un suo vicino di spalti. Dinamica confermata dalle telecamere di sorveglianza - tra l'altro - ma non sufficiente a scagionare il giovane.

A nulla è valsa la traballante giustificazione del ricorrente, secondo cui avrebbe acceso il fumogeno, dietro uno striscione, per ripararsi dal vento. A raccogliere l'oggetto e decidere di lanciarlo sarebbe stato, pochi minuti dopo, un'altra persona. Chi può dimostrare che tra i due ci fosse un legame? Si chiede l'imputato nel ricorso. E soprattutto: chi può dimostrare che vi fosse un piano concordato? Il tifoso arriva anche a sostenere che quel lancio non avesse creato alcun pericolo.
Non l'ha interpretata così la Corte di appello di Firenze che, in una dettagliata sentenza di due anni fa, ha dimostrato come dalle immagini riprese dalle telecamere apparisse con evidenza la complicità tra i due tifosi: prima l'accensione del fumogeno da parte dell'imputato (nascosto dietro uno striscione), poi la repentina presa in carico del vicino che, dopo averlo raccolto da terra, lo lanciava senza troppa esitazione. Il tutto in un contesto di pericolo, vista la presenza delle squadre in campo e di ventidue tifosi concentrati in un unico spazio.
Tranchant, dunque, la Corte di appello che - nero su bianco - ha ritenuto pericolosi sia l'accensione che il lancio. E' la norma stessa che punisce questa tipologia - la legge 401/1989 - a puntualizzare, d'altronde, come entrambe le azioni costituiscano reato. Sul banco degli imputati non ci sono soltanto fumogeni, ma anche tutti gli oggetti “che possano creare un pericolo reale per le persone: razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, bastoni, mazze, materiali imbrattanti o inquinanti, oggetti contundenti o comunque atti ad offendere”.
La stessa norma puntualizza come il reato previsto sia un “reato di pericolo concreto” e che per la sua realizzazione non sia necessario un danno, o ulteriori conseguenze. Il contesto allarmante della partita - si legge nella sentenza della Corte di appello - risultava inoltre evidente dai disordini avvenuti e dalla “evoluzione potenziale” degli stessi.
Sotto le forche caudine della Cassazione, non passa neanche il vizio di motivazione invocato dall'imputato. “Sono inammissibili - scrivono i giudici nella sentenza di ieri - tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta”. E concludono: “Il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione”.

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