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Sì all’uso di immagini compromettenti nelle indagini difensive

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CORTE DI CASSAZIONE

Sì all’uso di immagini compromettenti nelle indagini difensive

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

Non commette reato il coniuge che fornisca al giudice un cd con le immagini della moglie “immortalata” in atteggiamenti intimi con l'amante. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con una sentenza depositata ieri, 19 luglio.

Il trattamento dei dati personali senza il consenso dell'interessato - stigmatizzano i giudici nella sentenza 35553 - è consentito quando supporta lo svolgimento di investigazioni difensive o – comunque - per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della normativa. Non a caso, a questo scopo, il Garante autorizza periodicamente in via generale e provvisoria il trattamento di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale quando, appunto, sia necessario per lo svolgimento di indagini di questo tipo.

È sulla scia di queste argomentazioni che la Suprema Corte ha respinto il ricorso di una coppia “clandestina” denunciata davanti ai giudici dal marito della donna, attraverso l'uso di immagini compromettenti. Condannato in prima battuta dal Tribunale di Lecco, l'uomo è infatti poi stato assolto dalla Corte di appello di Milano, perché il fatto non costituisce reato e si è visto poi rideterminare la pena in 4 mesi di reclusione e 200 euro di multa.

Illecito il trattamento dei dati personali e anche offensivo della reputazione dei due amanti, secondo il difensore della coppia clandestina. Con l'aggravante - da parte dell'imputato - di aver trafugato il cd dai cassetti della moglie nella casa coniugale: un abuso di “relazioni domestiche e coabitazione”, finalizzato a procurare un ingiusto profitto morale. Oltre, naturalmente, all'accusa di aver violato la privacy.

Ma la Cassazione non la vede in questo modo. Sulla scia di altri precedenti giurisprudenziali, conclude infatti che l'uso dei dati personali durante l'attività processuale è lecita: il diritto alla difesa prevale.

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