Non è precisamente un’estate tranquilla, quella che sta vivendo il nostro malandato sistema fiscale. O meglio, non è proprio l’estate che ci saremmo aspettati da un fisco così fortemente impegnato nel trasmettere di sé una nuova immagine: un fisco più aperto, più collaborativo, disposto (per ora, purtroppo, sempre e solo a parole) a tagliare gli adempimenti, più attento alle esigenze degli operatori e di tutti i contribuenti.
Un fisco, e questa diventa la scommessa per il futuro, che non solo deve pretendere, a ragione, il rispetto ferreo delle regole. Ma che a sua volta deve esso stesso rispettare le regole. Basterebbe seguire davvero i principi dello Statuto del contribuente, che è pur sempre una legge dello Stato. E agire secondo un semplice precetto: «Ogni norma fiscale va scritta e applicata in base ai principi fissati dalla legge 212 del 27 luglio 2000».
Peraltro, questa estate fiscale che così tranquilla non è, proprio in questi giorni si trova a dover affrontare alcuni appuntamenti decisivi tanto per le sorti del bilancio statale quanto per le scelte operative alle quali sono chiamati i singoli contribuenti, con i pagamenti annuali delle imposte da effettuare (stendiamo un velo pietoso sulla vicenda della proroga ex post per i pagamenti dei redditi d’impresa e su come è stata gestita), con la rottamazione delle cartelle Equitalia che lunedì prossimo arriva alla tappa decisiva della prima rata e con la voluntary disclosure che sempre lunedì 31 luglio dovrebbe chiudere, salvo proroga ormai sempre più probabile a fine settembre, la sua seconda (e ultima?) chance di adesione. Con qualche pesante incognita sulla possibilità che la procedura di regolarizzazione dei capitali all’estero possa bissare il successo della prima edizione.
A ben vedere, è come se un filo rosso collegasse tra loro momenti e situazioni non proprio assimilabili: da un lato le sanatorie in arrivo e dall’altro le normali scadenze e adempimenti ordinari cui sono chiamati i contribuenti.
È come se tutto si muovesse lungo una linea immaginaria (ma neppure così immaginaria) che rappresenta la continua emergenza in cui vive un sistema che ai mali di sempre – con una pressione tributaria da record mondiale; con pesanti costi occulti degli adempimenti e della burocrazia fiscale; tra incertezze e volatilità normativa, con conseguente crescita esponenziale del rischio di dover sopportare costi aggiuntivo per sanzioni e/o contenzioso – riesce persino ad aggiungerne uno, del quale davvero non si sente la mancanza: la confusione totale.
L’agenda e le emergenze
C’è, purtroppo, tanta “emergenza” in molte iniziative (estemporanee e astruse) del legislatore. Dall’Ace ai nuovi principi contabili, gli operatori stanno impazzendo per calcolare le imposte. Ma prendiamo anche la famigerata tassa sugli affitti brevi. Siamo onesti: non sarebbe servito il parere di un premio Nobel per immaginare che una nuova modalità di prelievo difficilmente sarebbe potuta diventare attuabile in una ventina di giorni. E non serviva un genio del fisco per prevedere che gli intermediari immobiliari – come poi puntualmente è emerso – si sarebbero trovati nell’impossibilità tecnica di fare i sostituti di imposta, anche perché le indicazioni operative sono arrivate solo a pochi giorni dalla prima scadenza del 17 luglio.
Altre volte l’emergenza è la conseguenza dei ritardi dell’amministrazione: il caso della circolare del 14 luglio sugli studi di settore la dice lunga. I chiarimenti sull’applicazione di studi di settore e parametri è arrivata dopo la scadenza naturale dei pagamenti del 30 giugno e qualche giorno prima del 31 luglio, per pagare con la maggiorazione dello 0,40% (ora è “quasi” tutto superato: valgono le nuove date del comunicato stampa diffuso dal Mef il 20 luglio!). Come molti professionisti hanno segnalato, alcuni chiarimenti dell’Agenzia riguardano proprio le metodologie di calcolo degli studi (ripetiamo: il cui pagamento era previsto per il 30 giugno).
Come se non bastasse, al danno si è poi aggiunta la beffa. Il rinvio dei termini disposto dal Mef con comunicato stampa – prima rata dei pagamenti di saldi e acconti senza maggiorazione entro il 20 luglio oppure con maggiorazione dello 0,40% al 21 agosto – non rappresenta davvero un esempio da seguire e non solo perché arrivato quando anche la nuova scadenza del 20 luglio era stata superata. Di più: il rinvio vale solo per i titolari di reddito d’impresa. L’esclusione dei professionisti (e dei titolari di reddito di lavoro autonomo) – che forse ha validissime ragioni normative a noi ignote – suona un po’ troppo come una ripicca verso categorie che stanno provando a far sentire la loro voce per contare di più ai tavoli della concertazione fiscale.
L’urgenza del gettito
E poi ancora: emergenza continua anche per i conti pubblici. All’esigenza di fare nuovi incassi si legano evidentemente le continue una tantum, comprese le regolarizzazioni che in questi giorni arrivano al traguardo. Se guardiamo alla storia fiscale degli ultimi 50 anni, vediamo che il metodo della sanatoria è stato una triste costante: la Corte dei conti, in un’indagine che risale a qualche anno fa, ha calcolato che tra il 1977 e il 2003 ben l’80% degli anni di imposta è stato coperto da una forma di condono. Si dirà che rottamazione e voluntary non sono condoni. Vero. Siamo ben lontani, a esempio, dalla sanatoria del 2002-2003 e dai 26 miliardi di euro che arrivarono grazie a quel mix di oltre una dozzina di procedure, compresa la chiusura tombale di tutti i rapporti tributari (in realtà, furono poi riscossi “solo” poco più di 22-23 miliardi). Altri tempi, ma non così tanto. Perché se usciamo dalla contrapposizione “condono-non condono”, i numeri mostrano una verità evidente. E cioè il fatto che anche sul versante degli incassi, il nostro fisco sia sempre molto legato alle “una tantum”, le quali altro non sono che il modo in cui il sistema risponde alle urgenze dei conti pubblici, con introiti che negli ultimi dieci anni hanno superato quota 32 miliardi di euro. Altro che riforme fiscali, qui ciò che conta davvero sono gli incassi.
È questa caotica spirale di emergenze che va superata. È questo stato naturale di confusione e incertezze che deve essere archiviato. Ognuno deve fare la sua parte: il legislatore, in primo luogo, che deve saper valutare con maggiore attenzione l’effetto, l’efficacia e l’impatto reale delle norme che si appresta a votare. E insieme a lui il governo, che deve attentamente vigilare su queste dinamiche e che deve prendere atto del fatto che la materia fiscale ha bisogno di una cura più attenta. Il lavoro dei vice ministri è importante e in questa fase ha consentito di evitare altri scivoloni, ma il nostro sistema di tasse e imposte è troppo complesso e c’è da chiedersi se non sia giunto il momento di ripensare all’assetto attuale e affidare nuovamente le cure del fisco a un ministro delle Finanze a tempo pieno.
Infine, l’amministrazione finanziaria deve riflettere su come conciliare la sua attività di “custode” della legalità fiscale con quella di interlocutore unico per i servizi e l’assistenza a contribuenti e categorie. In fondo, questo è proprio il senso del primo messaggio lanciato dal neo direttore dell’agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che arriva alla guida dell’amministrazione proprio nel bel mezzo di questi giorni turbolenti. L’impegno per un’agenzia delle Entrate che «dovrà essere ancor di più al fianco di chi produce, così come delle famiglie e di quei cittadini che, troppo spesso, si sono sentiti circondati dal sistema fiscale, dalle tante lettere, da calendari di obblighi mutevoli e lunghi» è un auspicio che andrà misurato alla prova dei risultati. Sapendo fino d’ora che c’è davvero tanto lavoro da fare.
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