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Sui rimborsi dell’imposta l’ombra del «click-day»

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IVA

Sui rimborsi dell’imposta l’ombra del «click-day»

Non è la prima volta che il legislatore fiscale deve intervenire per rimediare a una “ingiustizia” nei confronti di singoli contribuenti o gruppi limitati. Ma le disposizioni di legge hanno la caratteristica di essere generali e astratte, e l’emanazione di un atto normativo pensato per alcuni pone rimedio ad anomalie passate e future dello stesso genere.

Per l’Iva è passato alla storia il caso di un mobilificio al confine con l’Austria. Molti potenziali clienti venivano da quella nazione e il nostro imprenditore provvedeva a consegnare gli arredi in questo Paese, procedendo anche ai montaggi. Chiede al locale Ufficio Iva se l’imposta doveva essere quella italiana o la Mehrwertsteuer. L’ufficio consulta l’articolo 41, comma 1, lett. b) del Dl 331/93, soffermandosi sulla nozione (meramente esplicativa: «e simili») di vendita su catalogo o per corrispondenza, non pertinente per una esposizione di mobili, e ritiene dovuta l’Iva. Il contribuente si adegua, ma avendo superato la soglia dei 35mila euro viene accertato dal fisco austriaco. La questione forma oggetto di varie riunioni del Comitato Iva a Bruxelles, e sarà risolta con l’articolo 11-quater del Dl 35/2005. Questa norma precisa che conta solo il trasporto eseguito dal fornitore. Pertanto non era dovuta l’Iva, e occorre quindi, al comma 2, rimettere questo soggetto in termini per chiederne il rimborso (o l’utilizzo in compensazione) facendo decorrere la decadenza biennale per la relativa istanza dalla data di notifica dell’atto da parte dell’autorità estera. Il paragrafo 3 della circolare 20 del 2016 preciserà che occorre un atto di accertamento, ma che il rimborso dell’Iva avrà luogo solo dopo la definitività dell’imposta estera.

Abbiamo voluto rievocare questo precedente, perché la legge europea, approvata in prima lettura il 20 luglio 2017, contiene un’analoga disposizione per rimettere in termini i soggetti che hanno versato un’Iva (comunque) non dovuta, risultante tale da un accertamento definitivo dell’amministrazione, e che l’hanno rimborsata ai loro clienti.

Non è facile capire la condizione relativa all’accertamento fiscale. Nei casi della Corte Ue avevamo un accertamento di Iva non dovuta solo nella causa Reemtsma (C-35/05), mentre nell’Antonveneta (C-427/10) la Corte era intervenuta in una lite civilistica di rivalsa. Così come non ci sono accertamenti fiscali di non debenza dell’imposta, ma solo controversie dinanzi al giudice ordinario, per il noto problema di applicazione dell’Iva sulla Tariffa di igiene ambientale (o Tia).

Al di là di comprendere quali siano i casi concreti in cui la disposizione risulterà applicabile, dobbiamo mettere in evidenza l’anomalo aspetto di formulazione della norma che nasce da un emendamento presentato in Commissione il giorno prima della votazione.

Nella norma scritta per il mobilificio potevamo lamentarci per il fatto che sia rimasta confinata in un Dl che ben pochi ricordano. Qui si introduce un nuovo articolo 30-ter della legge Iva, quindi ben venga la sistematicità del provvedimento. Peccato che l’ammissibilità dell’emendamento viene subordinata dal governo a uno stanziamento massimo di mezzo milione di euro all’anno, superato il quale si applicherà l’articolo 17, commi da 12 a 12-quater, della legge 186/2009. Ovvero, se non si troveranno altri capitoli di bilancio disponibili, la norma si deve intendere inefficace sino all’anno successivo.

Non è il massimo per un articolo che viene a far parte della legge Iva, e che richiederà un monitoraggio relativo ai fondi disponibili. Avremo un click-day anche per il rimborso dell’Iva non dovuta? Ma se l’imposta non andava applicata, le risorse dovrebbero già esserci con l’imposta incassata in più e l’indetraibilità per il committente o cessionario.

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