Norme & Tributi

Dai limiti sui prelievi una bussola ai giudici

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Dai limiti sui prelievi una bussola ai giudici

Fa discutere l’estensione dei limiti alle presunzioni sui prelievi bancari delle imprese agli accertamenti pregressi. Il problema si sta ponendo ai giudici tributari e non è difficile ipotizzare soluzioni contrastanti nelle varie commissioni.

Con l’articolo 7-quater del decreto fiscale (Dl 193/2016) è stato integrato il primo comma dell’articolo 32 del Dpr 600/1973. In particolare, è stato previsto un limite quantitativo alla presunzione secondo cui i prelevamenti operati dalle imprese sui conti correnti e altri rapporti bancari sono assimilati ai ricavi, se il contribuente non ne indica il beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili. Ora tale presunzione scatta solo nel caso in cui i prelievi siano superiori a mille euro giornalieri e, comunque, a 5mila euro mensili.

Questa disposizione, che dovrebbe semplicemente orientare gli uffici nell’attività di accertamento, viene oramai abitualmente inquadrata dalla Cassazione come una presunzione legale a favore del Fisco, non applicabile nei confronti dei professionisti per effetto della sentenza 228/2014 della Consulta (si veda, da ultimo, Cassazione, sentenza 19806/2017).

Ma, relativamente alle imprese, i limiti descritti operano anche per il passato? Con la circolare 8/E/2017 (risposta 19.1), l’Agenzia ha sposato la tesi della rilevanza solo “a futuro”, affermando che «si ritiene che, a partire dal 3 dicembre 2016 (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 225 del 2016), a base delle rettifiche ed accertamenti, saranno considerati ricavi i prelevamenti o gli importi riscossi nei limiti previsti dalla nuova disposizione». Tradotto: l’applicabilità riguarda gli accertamenti ancora non notificati alla data del 3 dicembre scorso, anche riferiti a periodi d’imposta precedenti, mentre per quelli già emessi resta applicabile la disposizione previgente (che non prevedeva alcun limite).

L’affermazione ha suscitato un certo dibattito dottrinale, acuito dalle direttive operative diffuse dalla Guardia di finanza (nota prot. 109546/2017) secondo cui «in considerazione della natura procedurale della disciplina delle indagini finanziarie e delle pertinenti presunzioni, si ritiene che le novità introdotte dal Dl 193/2016 abbiano carattere retroattivo e risultino applicabili, pertanto, a tutti i periodi d’imposta ancora accertabili».

A ben vedere, tuttavia, la questione della decorrenza può non essere così decisiva nell’ambito dei giudizi in corso. Infatti, l’inserimento di limiti specifici mira a colmare una lacuna che rendeva difficile l’applicazione della presunzione. Tanto è vero che la stessa Agenzia, con circolare 32/E/2006, aveva invitato gli uffici alla cautela, sostenendo che «i contribuenti interessati possono ritenersi sollevati dall’onere di fornire la predetta dimostrazione in relazione a prelievi che, avuto riguardo all’entità del relativo importo ed alle normali esigenze personali o familiari, possono essere ragionevolmente ricondotte nella gestione extraprofessionale».

Ma, poiché ciò che è “ragionevole” per un ufficio potrebbe non esserlo per l’altro, si è dell’avviso che nulla vieti al giudice investito della controversia su accertamenti passati di considerare “ragionevole” ciò che rientra nei nuovi limiti, dato che il legislatore ha ora dimostrato di ritenere privi di pericolosità i prelevamenti sotto le soglie indicate. Più che un problema di decorrenza formale, quindi, una “bussola” a supporto di decisioni meglio ponderate (e di possibili accordi in sede conciliativa).

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