Secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale «il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura costituzionale nell’articolo 3 della Costituzione non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati, la disciplina dei rapporti giuridici -anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti -, ma esige che ciò avvenga alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a condizioni sostanziali sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica (56/2015; 302/2010; 236 e 206/2009)».
Solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigono interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interessi pubblici perseguiti, è consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti. L’intervento retroattivo del legislatore, può incidere, secondo la Corte, sull’affidamento a condizione che: 1) trovi giustificazione in «principi diritti e beni di rilievo costituzionale» e dunque abbia «una causa normativa adeguata» quale un interesse pubblico sopravvenuto o una «inderogabile esigenza»; 2) sia comunque rispettoso del principio di ragionevolezza intesa come proporzionalità. In altri termini il principio dell’affidamento è sottoposto al normale bilanciamento di tutti i diritti e valori costituzionali.
È una formula a fisarmonica questa adottata dalla Corte che le consente di decidere secondo la sua piena discrezionalità: si riconosce in linea di principio un diritto del contribuente ma questo può essere sacrificato nell’interesse pubblico sempre che la limitazione del diritto non sia irragionevole. Era stata la Corte di Cassazione, con ordinanza (149/2017) che aveva sollevato questione di costituzionalità per violazione dell’articolo 3 della Costituzione dell’articolo 26 comma 2 del decreto lege 185/2008, nella parte in cui nell’introdurre un limite, un tetto massimo di stanziamento e una procedura per la selezione dei crediti d’imposta regolati dall’articolo 1 della legge finanziaria 2007 e non «fa salvi i diritti e le aspettative sorti in relazione ad attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29 novembre 2008».
Secondo il giudice remittente la norma censurata, “abolendo” i diritti di credito maturati in relazione al costo sia sostenibile l’aspettativa dei crediti maturandi in relazione ai costi da sostenere per attività già avviate prima della sua entrata in vigore, avrebbe leso l’affidamento dei contribuenti che avevano intrapreso iniziative economiche confidando nel quadro normativo vigente.
La Corte ha poi sollevato, in via subordinata, e sempre con riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 29 del decreto 185/2008, nella parte in cui anche per i crediti d’imposta relativi ai costi sostenuti per attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008, prevedono una procedura di ammissione al beneficio fiscale basata sul criterio cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti.
Per valutare l’adeguatezza dell’intervento normativo, censurato la Corte ha ritenuto di fondamentale importanza il rilievo che esso è stato effettuato con il decreto “anticrisi”, intitolato «Misure urgenti per sostegno alle famiglie, lavoro, occupazione e imprese e per ridisegnare in funzione anticrisi un quadro strategico nazionale, volto ad affrontare l’eccezionale situazione di crisi internazionale» e «potenziare le misure fiscali e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di stabilità e di crescita approvato in sede europea». Il decreto rappresenta il primo tentativo legislativo di fare fronte alla crisi economica internazionale del 2008 che contagiò l’Italia. In questo quadro, conclude la Corte, si deve ritenere che la disposizione abbia una causa normativa adeguata perché trova giustificazione nei principi, diritti e beni di rilievo costituzionale. Essa non viola i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Qui la motivazione va nel merito con una affermazione che va bene per tutti gli usi.
La Cassazione ha poi sollevato in via subordinata la questione di costituzionalità dell’articolo 29 del decreto 185/2008, nella parte in cui anche per i redditi d’imposta relativi ad attività avviate prima del 29 novembre 2008; è prevista una procedura di ammissione basata sul criterio cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti. Se in generale non può ritenersi irrazionale il criterio selettivo prior in temporepotor in iure, nel caso di specie tale criterio condurrebbe a risultati completamente scollegati non solo dal merito delle ragioni di credito ma anche dalla solerzia nel loro esercizio. Ciò comporterebbe una disparità di trattamento tra contribuenti egualmente titolari di crediti d'imposta. La questione è inammissibile secondo la Corte perché un eventuale accoglimento determinerebbe un assetto normativo caratterizzato da iniquità e da irragionevolezza poiché coloro che sono risultati vincitori nella procedura telematica non solo perderebbero il beneficio ottenuto ma non potrebbero neanche concorrere alla distribuzione del finanziamento successivo, finanziamento che è riservato ai perdenti. Né a tale irrazionalità si potrebbe ovviare con un intervento della Corte che, attesa la pluralità delle soluzioni ipotizzabili, nessuna delle quali costituzionalmente obbligate, finirebbe con il sovrapporre la propria valutazione discrezionale a quella del legislatore.
© Riproduzione riservata