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Smart working, accordi non sempre validi. A partire dall’orario…

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occupazione

Smart working, accordi non sempre validi. A partire dall’orario di lavoro

Gli accordi sindacali sullo smart working, pur essendo stati stipulati per la maggior parte a ridosso dell’approvazione della legge in materia (81/2017, in vigore dal 14 giugno), non sempre colgono la portata innovativa dell’istituto. In alcuni casi, anzi, sembrano quasi preoccupati di contenerne gli effetti potenzialmente dirompenti delle tradizionali coordinate spazio-temporali del rapporto di lavoro subordinato.

La definizione legislativa di lavoro agile postula una modalità di esecuzione della prestazione in cui la scelta del luogo e dell’orario in cui lavorare è in linea di massima rimessa al lavoratore («senza precisi vincoli» dice la norma), salve le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, da disciplinare nell’accordo individuale. La quasi totalità degli accordi sindacali invece concepisce il lavoro agile come una “concessione” limitata ad alcune giornate alla settimana, in cui al dipendente, dietro sua richiesta, è consentito di lavorare all’esterno dei locali aziendali.

Talvolta questa richiesta-concessione ha come destinatari solo particolari categorie di dipendenti, ad esempio i lavoratori neo-genitori. Tutto ciò, se appare non del tutto coerente con la “filosofia” dello smart working, non pone comunque problemi di conflitto con il dettato normativo, con qualche dubbio nei casi in cui l’individuazione delle giornate di lavoro esterno sia rimessa alla discrezione del superiore gerarchico.

L’orario di lavoro

Destano più perplessità altre previsioni che si ritrovano in alcuni accordi collettivi.

La prima riguarda l’orario di lavoro. Alcuni accordi prevedono che il lavoratore agile, pur lavorando all’esterno dei locali aziendali, sia soggetto allo stesso orario (normale) di lavoro di coloro che operano in azienda. Il che sembra contrastare con la definizione di legge, che prevede l’assenza di precisi vincoli di orario, con i soli limiti di durata massima previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Il rispetto di un preciso orario di lavoro si pone peraltro in contraddizione con la clausola, contenuta in quasi tutti gli accordi collettivi, secondo cui non è previsto (e in ogni caso non è remunerato) il lavoro straordinario.

Il luogo della prestazione

Considerazioni analoghe valgono per la scelta del luogo dove effettuare la prestazione.

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In alcuni accordi addirittura sono elencati i luoghi “autorizzati” (con evidente e talvolta dichiarata preferenza per il domicilio del lavoratore), in altri si escludono alcuni luoghi (ad esempio i luoghi pubblici o aperti al pubblico), in altri ancora si dice che il luogo dove svolgere la prestazione deve essere autorizzato dal superiore gerarchico del lavoratore.

Anche qui è ipotizzabile un contrasto con la legge che prevede l’assenza di vincoli di luogo, che tra l’altro costituisce la principale differenza tra il vecchio telelavoro e il nuovo lavoro agile. Queste limitazioni di luogo potrebbero d’altra parte anche condurre a limitare gli obblighi di cooperazione del lavoratore (prevista per legge) sulla sicurezza, rischiando potenzialmente di aggravare gli oneri a carico del datore di lavoro.

Parità di retribuzione

Eventuali disposizioni che dovessero comportare penalizzazioni del lavoratore agile con riferimento al trattamento retributivo sarebbero in contrasto con la legge: l’articolo 20 dispone espressamente che «il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato (...) nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda».

Questo rende con ogni probabilità passibili di nullità le clausole che stabiliscono differenze di trattamento, ad esempio privando i lavoratori agili, per le giornate di lavoro all’esterno dei locali aziendali, del buono pasto.

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