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La Corte Ue «confina» le norme antiabuso interne

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La Corte Ue «confina» le norme antiabuso interne

(Afp)
(Afp)

Secondo la sentenza della Corte Ue sul caso Eqiom «per verificare se un’operazione persegue un obiettivo di frode e di abuso, le autorità nazionali non possono limitarsi ad applicare criteri predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo dell’operazione».

La pronuncia riguarda la normativa francese sulla disciplina madre-figlia, che nega l’esenzione della ritenuta di dividendi corrisposti dalla società figlia francese alla società madre Ue quando questa sia posseduta da una società residente fuori della Ue, a meno che la società madre «non comprovi che la catena di partecipazioni non abbia come fine quello di trarre vantaggio dall’esenzione». Insomma, una norma di portata anti-abuso con inversione della prova a carico del contribuente.

La questione non è nuova perché gli Stati membri giustificano le limitazioni all’esercizio delle libertà fondamentali con l’esigenza di contrastare l’elusione dell’imposta nazionale. Nel caso Eqiom, la Corte ha censurato la legge francese per violazione del principio di proporzionalità ribadendo l’illegittimità di una norma che istituisce una «presunzione generale di frode e di abuso» e pregiudica l’obiettivo di evitare la doppia imposizione degli utili distribuiti da una società figlia alla società madre.

Il principio, dunque, non è di pretendere che gli Stati membri rendano più puntuali i presupposti delle norme antielusive, ma di imporre agli organi dell’amministrazione finanziaria di individuare caso per caso gli elementi a base della presunzione di abuso-elusione avviando un contraddittorio endoprocedimentale. Anche se i presupposti delle norme antiabuso fossero specifici, si tratterebbe comunque di «presunzioni generali».

È dunque sempre necessario un esame delle circostanze del caso e qualora sussista un fondato principio di sospetto, il contribuente potrà superare l’eccezione dell’abuso dimostrando l’esistenza di motivi diversi da quelli meramente fiscali a giustificazione della scelta fatta. Infatti, il divieto di abuso-elusione non è applicabile se la struttura in questione può avere anche una spiegazione diversa dal conseguimento del vantaggio fiscale.

La questione ci porta al comma 6 dell’articolo 10-bis della legge 212/2000 (Statuto del contribuente), secondo il quale «l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto». Questo precetto sembra rimanere “confinato”, ai soli casi interni. In sostanza vi è un’asimmetria tra la disposizione di garanzia e le norme del Tuir che si attengono a operazioni-strutture transnazionali all’interno della Ue: fra tutte, quelle in tema di esterovestizione, Cfc e sulla tassazione dei dividendi “provenienti” da Paesi a fiscalità privilegiata. Il perché di questo disallineamento non è dato sapere. È difficile immaginare però che, dopo la sentenza Eqiom, possano coesistere norme antielusive di serie A e di serie B. Stando alla Corte, la procedura di cui all’articolo 10-bis, comma 6, dello Statuto dovrebbe essere applicata in ogni caso in cui sia contestato l’abuso del diritto, senza che siano ammesse presunzioni fondate su criteri generali predeterminati.

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