La richiesta di rimborso della doppia quota variabile di Tari sulle pertinenze non richiede l’utilizzo di alcun modulo prestabilito. È sufficiente quindi proporre una istanza in forma libera che contenga tutti i dati necessari a far comprendere l’importo pagato e l’importo che si chiede a rimborso, con le relative motivazioni. Non è neppure necessario presentare istanze separate per ciascun anno di imposizione ma si può redigere una domanda unica per tutte le annualità interessate. Al riguardo, si ricorda che il termine di decadenza per la domanda di rimborso è di cinque anni dal pagamento.
In questa fase, non occorre dotarsi di un professionista: il contribuente può quindi provvedere da solo. L’esperto invece è necessario o comunque consigliabile nella eventuale successiva fase contenziosa.
In alcuni casi, il contribuente deve attivarsi tempestivamente, altrimenti perde il diritto al rimborso. Si tratta dell’ipotesi in cui, non avendo pagato l’importo del precedente avviso bonario, il soggetto passivo si è visto recapitare, con raccomandata, un atto di sollecito, contenente l’addebito della tassa dovuta. In tale eventualità, infatti, si deve proporre ricorso entro sessanta giorni dalla notifica del sollecito, altrimenti la pretesa tributaria diventa incontestabile.
A monte della richiesta di rimborso, è tuttavia utile svolgere alcune verifiche preliminari. In primo luogo, devono essere escluse, di regola, le annualità in Tarsu. La vecchia tassa rifiuti, infatti, era applicata senza alcuna suddivisione in quota fissa e variabile, salvo eccezioni. Ugualmente escluse sono le realtà in cui si afferma di applicare la “tariffa puntuale”, un prelievo commisurato cioè all’effettiva quantità di rifiuti consegnati al servizio pubblico. In questo caso, essendo la quota variabile proporzionata ai sacchetti conferiti non dovrebbe esserci alcun indebito pagamento.
Per verificare inoltre se il comune abbia o meno applicato indebitamente la Tari, bisogna leggere l’avviso di pagamento ricevuto che dovrebbe contenere il dettaglio della tassa riferita a ciascuna unità immobiliare autonomamente accatastata. Nel caso in cui la quota variabile risulti conteggiata per ogni unità, allora il rimborso spetta. Occorre inoltre individuare il soggetto al quale proporre la domanda di rimborso. In molti casi, infatti, la tassa rifiuti è gestita e riscossa da una società privata (ad esempio il gestore del servizio pubblico). Per stabilirlo, basta leggere gli avvisi di pagamento: se questi sono intestati al soggetto privato, l’istanza dovrà essere presentata ad esso. Se il vecchio gestore è stato sostituito da una società subentrante, è consigliabile presentare l’istanza sia al comune che al nuovo gestore.
Dopo aver presentato la domanda, se il comune non risponde entro 90 giorni si forma il silenzio rifiuto e quindi il contribuente può proporre ricorso in Commissione tributaria provinciale fino a quando il diritto non è prescritto. Se invece il comune notifica un atto di diniego, allora il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla notifica.
Nei contenziosi da rimborso, l’onere della prova spetta sempre al contribuente. Ne consegue che quest’ultimo dovrà provare, al comune prima e al giudice poi, che si è in presenza di unità effettivamente pertinenziali alla casa di abitazione.
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