L’equo compenso appena riconosciuto a tutti i liberi professionisti, iscritti all’Albo e non, per ora, resta limitato. Il principio di una remunerazione adeguata - introdotto nel decreto fiscale con una norma su misura per gli avvocati, poi estesa con un breve comma anche a tutti gli altri professionisti - segna sicuramente una svolta, a distanza di oltre cinque anni dall’abolizione delle tariffe minime. Ma passando dalla teoria alla pratica, non è di facile e immediata applicazione a tutta la galassia eterogenea del lavoro autonomo.
Un primo grande spartiacque è tra le professioni ordinistiche e quelle prive di Albi. In teoria l’equo compenso si dovrebbe applicare anche a queste ultime. L’attuazione, però, per ora resta sulla carta. La norma infatti dà come riferimento per definire l’equo compenso i parametri fissati nei decreti ministeriali categoria per categoria. E questo al momento taglia fuori le professioni senza Albo (oltre due milioni di interessati) che non hanno ancora i decreti con i parametri.
A ciò si aggiunga la richiesta delle categorie di una regola più chiara: è per questo - ma soprattutto per far pressione nei confronti di Governo e Parlamento perché non venga stravolto quanto finora insperatamente ottenuto - che il Cup (Comitato unitario delle professioni) e la Rete delle professioni tecniche ha confermato per giovedì prossimo una manifestazione nazionale a Roma.
Nell’attesa, le professioni “orfane” dei parametri stanno a guardare: cosi è per i tributaristi. «Non possiamo applicare per analogia neanche i decreti esistenti, ad esempio quello dei commercialisti, perché emanati dalla Giustizia, mentre noi siamo vigilati dal Mise», spiega Enrico Peruzzo, presidente dell’associazione italiana tributaristi.
Situazione analoga per gli amministratori di condominio, come sottolinea Francesco Burrelli, presidente nazionale Anaci, che apprezza la novità - «la norma sull’equo compenso è giusta e importante» - e vede la mancanza dei parametri come un’opportunità: «È l’occasione per sedersi al tavolo con il ministero della Sviluppo economico per metterli a fuoco».
Niente problemi di questo tipo per gli avvocati, che possono contare su una disposizione “tagliata” su di loro. «L’avvocatura è stata trainante nel capovolgere il principio della corsa al ribasso - afferma Andrea Mascherin, presidente del Consiglio nazionale forense - e nel fissare quello del compenso equo. In prospettiva la norma si può migliorare: per esempio, si può precisare meglio la non derogabilità di certe clausole. Riguardo, invece, ai parametri , noi li abbiamo e coprono tutte le nostre attività».
Stesso discorso per i consulenti del lavoro. Anche per Marina Calderone, presidente della categoria, il giudizio è positivo: «Abbiamo portato avanti una battaglia per porre fine alla prassi sempre più consolidata di molte pubbliche amministrazioni di chiedere prestazioni a un euro e offrire ai professionisti solo un rimborso spese». Sui parametri non ci sono problemi: esistono e coprono tutte le attività.
Copertura parziale
Per i commercialisti, invece, nel decreto parametri mancano le certificazioni per Industry 4.0 o per la 231. Situazione analoga per i periti industriali: «Manca il design», spiega il presidente Giampiero Giovannetti.
Anche i chimici hanno i parametri, che però non comprendono tutte le attività. «Chiederemo di ampliarli - commenta Nausicaa Orlandi, presidente del Consiglio nazionale. Nel complesso, la norma è importante». Così è anche per i geologi, i cui parametri sono parziali. «Il decreto - spiega Francesco Peduto, presidente nazionale della categoria - è in fase di ripensamento anche per allinearlo al nuovo codice appalti».
Privati e Pmi
L’equo compenso come strutturato per gli avvocati non si applica, per esplicita esclusione della norma, alle imprese «rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese». Se l’eccezione venisse confermata per tutti, i contratti con le Pmi e con i privati sarebbero, dunque, fuori dal perimetro dell’equo compenso. A essere esclusa sarebbe la maggior parte del tessuto produttivo italiano. «Le Pmi sono le nostre principali clienti » commenta Giorgio Luchetta del Consiglio nazionale commercialisti. «Di fatto saremmo scoperti, visto che la maggior parte di noi lavora proprio per privati e Pmi», aggiunge Massimo Crusi, tesoriere del Consiglio nazionale architetti.
Ingegneri e geometri, però, danno una lettura diversa della norma. Massimiliano Pittau, direttore della Fondazione del Consiglio nazionale ingegneri, cita la relazione di accompagnamento al decreto legge, dove si fa riferimento «a tutti i rapporti di lavoro autonomo che interessano professionisti». «Questo dovrebbe rendere possibile l’equo compenso anche nei rapporti con Pmi e privati, almeno per le categorie diverse dagli avvocati», sostiene Pittau, che cita l’analoga posizione di Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato e primo firmatario di un Ddl in materia.
Anche per i tecnici della presidenza del Consiglio geometri da una prima lettura dell’articolato, l’equo compenso sembrerebbe applicabile a tutte le fattispecie.
Se dovesse prevalere questa lettura, però, i più penalizzati sarebbero proprio gli avvocati, gli unici per cui l’equo compenso varrebbe solo nei confronti dei clienti forti.
Vanno controcorrente gli informatici. Per Andrea Violetti, presidente di Confassociazioni digital, l’equo compenso non è una conquista, ma «una surrettizia reintroduzione delle tariffe. Per gli informatici senior poi i parametri sono addirittura troppo bassi».
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