Dalla Corte europea arriva un segnale di equo bilanciamento nella valutazione della prescrizione dei reati fiscali. Con la sentenza C-42/17, la Corte di giustizia affronta per la seconda volta (la prima fu l’8 settembre 2015 con la sentenza Taricco e a., C 105/14) il tema della prescrizione dei reati fiscali in rapporto ai principi del diritto dell'Unione e, in particolare, all'articolo 325 Tfue.
La questione, sollevata dalla Corte costituzionale su impulso della Corte di cassazione e della Corte di appello di Milano, attiene al regime prescrizionale da applicarsi alle frodi Iva qualificabili come gravi. Nel concreto, l'azione penale sarebbe prescritta ove si dovessero applicare le disposizioni nazionali del Codice penale; in caso contrario, in ossequio al principio stabilito dalla sentenza Taricco, i procedimenti si potrebbero concludere con una pronuncia di condanna. La Corte costituzionale solleva dubbi sulla compatibilità di una soluzione “europea” a tutto campo, rispetto ai principi costituzionali italiani: in particolare, con riguardo ai diritti inalienabili della persona e alla potenziale lesione del principio di legalità dei reati e delle pene, secondo cui le norme penali vanno determinate con precisione e non possono essere retroattive. Più nel dettaglio, la Consulta motiva il rinvio (ordinanza n. 24 del 26 gennaio scorso 2017) precisando che nell'ordinamento giuridico italiano il regime della prescrizione in materia penale riveste natura sostanziale ; pertanto rientra nell'ambito di applicazione del principio di legalità, previsto all'articolo 25 della Costituzione italiana e, di conseguenza, dovrebbe essere disciplinato da norme precise vigenti al momento della commissione del reato considerato. Anziché attivare direttamente i cosiddetti “contro-limiti”, che impediscono l'ingresso nel nostro ordinamento di norme di diritto europeo contrarie ai principi supremi della Costituzione e ai diritti inviolabili dell'individuo (si vedano Corte costituzionale 183/1973, 170/1984, 232/1989), la Consulta ha saggiamente evitato lo scontro diretto con i giudici europei, fornendo loro l'occasione di interpretare il contenuto di questa regola, con la precisa ammonizione che «se l'applicazione dell'art. 325 del Tfue comportasse l'ingresso nell'ordinamento giuridico di una regola contraria al principio di legalità in materia penale […] questa Corte avrebbe il dovere di impedirlo». Con pari saggezza, la Corte europea raccoglie l'invito alla prudenza e al rispetto dei principi di legalità nazionali, sconfessando l'impostazione radicale proposta dall'avvocato generale nelle conclusioni del 18 luglio scorso. E il risultato offerto salvaguarda, al tempo stesso, il diritto dell'Unione e i diritti fondamentali dello Stato membro: nel riconoscere «l'importanza, tanto nell'ordinamento giuridico dell'Unione quanto negli ordinamenti giuridici nazionali, che riveste il principio di legalità»: (i) rimette al singolo giudice nazionale il dovere di verificare se quella condizione «conduca a una situazione di incertezza nell'ordinamento giuridico italiano» e, nel caso, a non disapplicare le norme sulla prescrizione; (ii) esclude, in ogni caso, che l'obbligo di disapplicazione possa valere per casi precedenti alla sentenza Taricco, poiché ciò consisterebbe nell'applicazione retroattiva di un regime di punibilità più severo.
La pronuncia consente, dunque, alla Consulta di evitare lo “strappo” e al nostro legislatore, finora silente spettatore, di raccogliere l'invito della Corte unionale ad «adottare le misure necessarie», che possano «garantire che il regime nazionale di prescrizione […] non conduca all'impunità» nelle più gravi ipotesi di frode Iva.
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