La legge italiana sul diritto di autore è oggi più che mai un importante punto di riferimento nel processo europeo di modernizzazione delle regole a tutela dei contenuti digitali creativi.
Nella bozza di direttiva sul copyright la Commissione europea proponeva, infatti, di introdurre all’articolo 11 un nuovo diritto assoluto a favore degli editori di opere giornalistiche, che dunque avrebbero potuto decidere se autorizzare o vietare la riproduzione e comunicazione al pubblico dei contenuti digitali.
Le esigenze alla base del nuovo diritto erano dichiarate e sono oggi confermate nei Considerando 31 e seguenti della bozza: agevolare la circolazione diritti e rafforzarne l’effettività, promuovere un più maturo bilanciamento tra l’interesse degli autori/editori e quello generale, a salvaguardia «della stampa libera e pluralista» e a garanzia del «giornalismo di qualità e l’accesso dei cittadini all’informazione», e in ultima analisi, consentire ad editori e autori di partecipare “ad armi pari” alla catena del valore e così fronteggiare i cambiamenti radicali innescati dall’economia digitale.
La scelta normativa del resto non era peregrina ma sembrava trovare conforto in alcuni autorevoli precedenti nazionali. Germania e Spagna hanno introdotto regole ispirate alla medesima finalità, assicurare cioè “la sostenibilità” del settore dei media e dell’entertainment attraverso la compartecipazione alle nuove forme di sfruttamento promosse da aggregatori e operatori on line.
Sennonché, l’articolo 11 è stato accolto con favore per le intenzioni perseguite, vale a dire perché ispirato all’esigenza di rilanciare il settore dell’editoria tradizionale, scongiurando forme di free ridiing e di appropriazione indebita. È stato invece contestato per la tecnica giuridica prescelta. Nei sistemi tradizionali, e in Italia in primis, sono gli autori i titolari originari delle opere e non gli editori. Questi ultimi sfruttano i diritti economici sulle opere e godono di un diritto di secondo livello, derivativo, che in quanto tale presuppone ed è condizionato all’esistenza del diritto dell’autore sull’opera creativa.
D’altra parte, per evitare forme di sfruttamento parassitario, sempre in Italia, i titoli degli articoli e gli estratti sono sì protetti ma non attraverso le regole autoriali, che presuppongono un certo gradiente di creatività e originalità, quanto piuttosto attraverso le regole della concorrenza sleale.
La nuova posizione comune di Consiglio e Parlamento, annunciata negli scorsi giorni, sembra far tesoro dell’impianto sistematico continentale, allineandosi in larga misura alla lettera e al rationale della legge italiana. Il nuovo articolo 11 non cambierà ragione ispiratrice, cambierà piuttosto la lettera della norma, introducendo una presunzione. Si presumerà insomma, sino a prova contraria, che l’autore di un’opera giornalistica abbia ceduto i propri diritti all’editore e che dunque questi possa attivarsi per perseguire i comportamenti illeciti altrui.
La scelta è del tutto condivisibile perché, oltre a conformarsi ai principi fondanti la disciplina autoriale, realizza le finalità che la norma si riprometteva di raggiungere, vale a dire facilitare la diffusione delle opere nel rispetto delle regole, rafforzare il ruolo degli editori, che hanno maggiore potere negoziale rispetto agli autori, e consentire agli uni e agli altri di partecipare al valore generato dalla circolazione on line dei contenuti autoriali.
Certo, nel quadro che si va delineando, gli estratti delle opere digitali rimangono al di fuori dell’area di protezione autoriale, a meno che non qualifichino in quanto tali opere dell’ingegno (conclusione questa non impossibile, tenuto conto che la Corte di giustizia ha stabilito che 11 parole estratte da un’opera più ampia possono essere meritevoli di tutela autoriale) e sempre che l’opera originale dalla quale sono tratte non fosse riservata ad una cerchia ristretta di utilizzatori (vuoi in abbonamento vuoi attraverso password di accesso).
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