La cittadinanza del futuro è quella digitale. Si muove verso questo orizzonte il decreto legislativo approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri lunedì scorso, di attuazione della riforma Madia della Pa. Il provvedimento rimette mano, per l’ennesima volta, al codice dell’amministrazione digitale (Cad) con l’obiettivo, soprattutto, di permettere ai cittadini di interloquire online con la pubblica amministrazione. Ecco perché il nuovo decreto ruota intorno ai concetti di domicilio e di identità digitale, prevedendo il diritto di ognuno, a partire dal prossimo primo gennaio, di accedere ai servizi della pubblica amministrazione attraverso lo Spid (sistema pubblico di identità digitale).
Si tratta di un rovesciamento di prospettiva. Lo Spid esiste da marzo dell’anno scorso e al momento ne sono in possesso oltre 2 milioni di persone, che possono accedere ai 3.780 servizi messi a disposizione dai soggetti pubblici. Il nuovo Cad trasforma quella che ora è un’opportunità per i cittadini in un obbligo per la Pa , che deve garantire l’accesso ai servizi attraverso l’identità digitale.
Meno pressanti, invece, i tempi per il domicilio digitale. Ancora non c’è una scadenza entro la quale tutti dovranno avere la “residenza” virtuale, che altro non è se non una posta elettronica certificata (Pec) o un altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato. Sarà un decreto a stabilire il momento dello switch off, a partire dal quale tutte le comunicazioni tra gli uffici pubblici e i cittadini dovranno avvenire online.
Questo non significa che, nel frattempo, il domicilio digitale resterà al palo. Tutt’altro: chi vuole potrà iniziare a utilizzarlo. Anzi, per i professionisti iscritti agli Albi, che già devono disporre per legge di una Pec, e per i soggetti iscritti al registro delle imprese, la casella di posta elettronica di cui sono in possesso diventerà automaticamente (a meno che gli interessati non decidano di dotarsi di un’altra Pec da eleggere a “residenza” virtuale) domicilio digitale, da iscrivere nell’Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti, che già esiste ed è gestito da Infocamere. Proprio l’inserimento nell’Indice “trasforma” la Pec in domicilio digitale, perché le pubbliche amministrazioni faranno riferimento a quell’elenco quando dovranno spedire atti e documenti ai cittadini iscritti. Infatti, chi sta nell’Indice nazionale riceverà tutte le comunicazioni da parte della Pa (per esempio, la notifica di una multa)solo in forma digitale. Un ulteriore passo verso l’addio alla carta, che permetterà già alle sole amministrazioni locali di risparmiare 250 milioni l’anno di spese postali.
Se si guarda al numero di Pec finora rilasciate - sono oltre 8,5 milioni - si può ipotizzare che una gran parte potrà diventare domicilio digitale. Questo varrà anche per le persone fisiche che già possiedono una posta certificata: quest’ultima potrà diventare domicilio digitale con l’inserimento nell’Indice nazionale delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, che l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) dovrà realizzare entro un anno.
Tutti gli Indici nazionale migreranno poi nell’Anagrafe della popolazione residente (Anpr). Nelle previsioni originarie avrebbe dovuto essere proprio l’Anpr il “contenitore” dei domicili digitali, ma con il recente decreto si è dovuto cambiare rotta perché l’Anagrafe nazionale è ancora in fase di sperimentazione: vi risultano finora inseriti solo 30 comuni, per un totale di 614mila abitanti.
La Pa deve, inoltre, garantire ai cittadini servizi online semplici e integrati permettendo di accedervi pure attraverso smartphone e tablet. Deve, poi, assicurare la connettività a Internet negli uffici e luoghi pubblici, anche mettendo a disposizione dei cittadini la quota di banda larga non utilizzata dalla Pa, da agganciare facendosi riconoscere attraverso Spid o la carta d’identità elettronica oppure la carta nazionale dei servizi.
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