Nell'esaminare la giurisprudenza costituzionale ultima emergono luci ed ombre: le une illuminano la Corte come giudice delle regole; le altre ne confondono la funzione e ne offuscano il ruolo cruciale nel nostro ordinamento il quale è privo di una logica normativa complessiva.
Nel contempo matura la qualità redazionale delle ordinanze di rimessione, in modo da evitare tanto pronunce di manifesta inammissibilità, quanto pronunce di mera inammissibilità, delle quali spesso la Corte ha fatto uso, abusando della forma per non prendere posizione sulla sostanza. La nuova stagione del diritto tributario costituzionale non può permettersi carenze metodologiche né constatazioni formalistiche.
Pensiamo all'importante e articolata ordinanza di rimessione del Tribunale di Trieste (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, I serie speciale, n. 35/2017) a censura dell'illegittimità costituzionale delle limitazioni previste per l'opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi tributari. La necessità di rimuovere le deroghe tributarie al diritto comune, qualora si palesino irrazionali, impone un esame nel merito di una preclusione normativa che rappresenta un nuovo modo di essere della odiosa regola del solve et repete. A fronte di tale evidenza si dovrà ribadire che la norma fiscale, tanto sostanziale quanto processuale, può derogare al diritto comune purché la deroga sia costituzionalmente «non irragionevole».
La Ctr Milano (Gazzetta Ufficiale, I serie speciale, n. 2/17), ha inteso provocare l'intervento della Corte sulla antica e tormentata storia della legittimità costituzionale dell'aggio esattoriale, spesso assai rilevante sul piano dell'entità economica, con un'ordinanza, anche in questo caso, attenta ed esaustiva, sino a diventare addirittura didascalica, ma certamente efficace, pur di evitare la manifesta inammissibilità nella quale sono incorse precedenti ordinanze di rimessione sulla questione (Corte costituzionale, ordinanza 147/15).
A fronte di una maggiore consapevolezza della funzione integrante del giudice remittente nell'incidente di costituzionalità, d'altro canto, diverse pronunce della Corte sono apparse frettolose e inadeguate.
È il caso della sentenza 181/2017 che ha giustificato come non irragionevole la non impugnabilità del diniego tacito di annullamento in autotutela, come se l'amministrazione finanziaria potesse ignorare l'istanza del contribuente. In tal modo è sembrata escludere un obbligo dell'amministrazione di pronunciarsi sulle istanze di annullamento presentate dal contribuente. Con tale pronuncia si è arrivati a un grado di confusione tale dei nodi problematici da essere costretti a non poterne fondatamente tener conto. Come esposto, infatti, la pronuncia sembra confondere la nozione istituzionale di posizione soggettiva passiva di «dovere» con quella di «obbligo», per arrivare alla soluzione della «non irragionevolezza» della (assunta) disciplina.
Al contrario, l'impugnabilità innanzi al giudice tributario del diniego tacito di autotutela è approdo necessitato sul piano di una interpretazione adeguatrice della disciplina tributaria dell'autotutela stessa ben radicata nel principio di capacità contributiva. Del resto, la doverosità dell'autotutela è ormai recepita dalla stessa amministrazione a fronte di atti palesemente illegittimi, sia pur definitivi.
Allo stesso modo può richiamarsi altra pronuncia della Corte (sentenza n. 153/17) che restituisce una concezione dell'amministrazione finanziaria in contrasto con l'articolo 97 della Costituzione, limitando la detassazione dei premi di produttività a favore dei soli lavoratori privati, in ciò non capendo che produttività ed efficienza sono coessenziali al settore pubblico e all'azione dell'amministrazione pubblica e finanziaria, in primis, con relativa evidente irragionevolezza e arbitrarietà della discriminazione che è sfuggita all'analisi precipitosa della Corte.
Su altro piano si pone la sentenza 242/2017, in materia di applicazione del trattamento fiscale agevolativo a tutti i finanziamenti a medio e lungo termine, sia effettuati da banche che da intermediari finanziari (articolo 15 del Dpr 601/73). La Corte ha espresso una piena conferma della tesi del giudice remittente (singolarmente le Sezioni unite di quella Cassazione principale responsabile dell'interpretazione incostituzionale della norma scrutinata). Trattasi di pronuncia con un rilievo specifico perché elimina un'irragionevole deroga al principio di eguaglianza e una contestuale violazione dell'articolo 41 della Costituzione sotto il profilo della libertà di concorrenza che è una delle manifestazioni della libertà di iniziativa economica privata (Corte costituzionale, sentenza 94/13), segnando il definitivo superamento di un diritto “vivente”in conflitto con i parametri costituzionali degli articoli 3 e 41 della Costituzione.
Dall'esito di tale ultima pronuncia si evince la necessità di svolgere, da parte del giudice di merito e di legittimità, l'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, in grado di garantire la tutela immediata del contribuente, senza inutili differimenti e con piena valorizzazione dei principi costituzionali.
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