La Fontana di Trevi non è abbastanza monumentale da irradiare la sua potenza evocativa all’immobilevicino sino a farlo diventare a sua volta un edificio storico per pagare l’Ici (o Imu) ridotta.
La Cassazione, con la sentenza 1695/2018, depositata ieri, ha giudicato che su un immobile di piazza di Trevi esistesse solo un vincolo “indiretto” per via della vicinanza della celebre fontana e non un riconoscimento vero e proprio ai sensi della legge 1089/39: «Il fabbricato (...) , pacificamente adibito ad abitazione, non può ritenersi destinato in modo durevole all’ornamento o al servizio della fonmtana di Trevi, essendo esso un bene dotato di autonoma destinazione cui è stato solamente imposto il vincolo del mantenimento delle caratteristiche architettoniche esterne» . Quindi non spettava il beneficio sull’Ici, la “mamma” dell’Imu. La signora, in realtà, è stata sfortunata: sempre la Cassazione (anche con la sentenza 13738/2015) aveva chiarito che sarebbe bastato riconoscimento di interesse storico/artistico, anche solo di parte dell'immobile (ad esempio la facciata, i capitelli del portone). Quindi, in presenza di un dettaglio come il capitello antico rimasto per caso, questo va valorizzato presso il ministero dei Beni culturali: a fronte di una manutenzione probabilmente non troppo impegnativa la costosa Imu verrebbe dimezzata.
Doppio bonus
Ma le stranezze non si fermano qui: esiste anche l’intreccio dei bonus, che portano a una riduzione davvero sostanziosa. Il ministero dell’Economia (in noccasione di Telefisco 2016) ha precisato che, nel caso di concessione in comodato a figlio o genitore di un'abitazione storica, opera la doppia riduzione, ovvero riduzione del 50% per immobile storico e ulteriore riduzione del 50% per immobile in comodato, e quindi il contribuente versa solo il 25% dell’imposta!
Abbattere per non pagare
Un altro metodo decisamente poco ortodosso ma sempre più diffuso è quello per “abbassare” l’Imu sui capannoni: in genere si tratta di Imposte pesantissime, perché i capannoni industriali (categoria catastale «D») hanno una rendita molto elevata. Ma dal 2008 in poi l’ecatome delle imprese ha reso questi edifici, vuoiti e inutili, un peso insostenibbile tra tasse e manutenzioni.
Il Comune, cui fa capo l’Imu, è però vincolato a pretendere l'Imu sulla base delle risultanze catastali (Cassazione, sezioni unite, sentenza 18565/2009). Il contribuente potrebbe quindi presentare dichiarazione di inagibilità, per accedere almeno alla riduzione del 50% della base imponibile. Non solo: se si procede all'accatastamento in categoria F/2 (immobili «collabenti», in base a uno dei latinismi cari alla pubblic aamministrazione) l'immobile sarà assoggettabile all’Imu solo come area fabbricabile, sempre a condizione che lo strumento urbanistico comunale ne preveda la possibilità di recupero; diversamente, dovrà addirittura ritenersi escluso dall'imposizione.
Ma la prassi di alcuni ex imprenditori, illecita ma originata dalla disperazione, è quella di abbattere nascostamente il tetto del capannone, rendendolo così sicuramente «inagibile» e in molti casi «colabente» perché senza tetto la rovina dell’edificio è solo questione di tempo.
© Riproduzione riservata