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Assegni e clausola di non trasferibilità: cosa si rischia e cosa…

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Assegni e clausola di non trasferibilità: cosa si rischia e cosa potrebbe cambiare

L’ignoranza della legge non ammette scuse. Eppure nella stretta sulla mancata emissione della clausola di «non trasferibilità» degli assegni da mille euro in su stanno incappando non i pericolosi riciclatori seriali ma soprattutto i piccoli consumatori. Per questo il Parlamento cerca di mettere una toppa proprio sul filo di lana della legislatura chiedendo al Governo, in un parere che sarà votato martedì della commissione Finanze della Camera, di riparametrare l’impianto sanzionatorio all’effettiva entità della violazione.

C’è infatti chi ha pagato l’anestesista, chi ha saldato la parcella del professionista e addirittura chi ha acquistato un divano. Le loro storie sono raccontate su un gruppo Facebook il cui nome è già molto eloquente «Maxi sanzione per assegno privo del non trasferibile».

Perché la sanzione varia da un minimo da 3mila a un massimo di 50mila euro. E anche l’oblazione, ossia quel meccanismo con cui si riconosce la dimenticanza, l’errore o la svista nel momento in cui arriva la contestazione e quindi si accetta di pagare senza colpo ferire, è tutt’altro che conveniente: il margine di oscillazione è da un terzo della sanzione massima (16.666 euro) al doppio della minima (ossia 6mila euro) entro 60 giorni dalla contestazione che viene effettuata dagli uffici del ministero dell’Economia. Senza dimenticare che la sanzione colpisce sia chi emette l’assegno sia chi lo riceve. E in questi casi l’intermediario è lui stesso tenuto a segnalare l’assegno non in regola per non incappare a sua volta in conseguenze sanzionatorie. Con l’unica via d’uscita rappresentata dalla possibilità di inviare osservazioni al Mef per dimostrare la dimenticanza e cercare di ottenere uno sconto (ma per farlo c’è chi ha dovuto sostenere i costi dell’assistenza legale).

La situazione è figlia del fatto che molti risparmiatori hanno blocchetti di assegni di vecchia data che non hanno mai utilizzato e li hanno staccati per importi a partire da mille euro a salire senza scrivere «non trasferibile» sullo strumento di pagamento. Mentre, come ha ricordato l’Abi in un vademecum di dieci punti per aiutare consumatori e risparmiatori a non cadere sotto la tagliola delle maxisanzioni, le banche ormai consegnano automaticamente ai clienti blocchetti che riportano già la dicitura prestampata di non trasferibilità. Poi chi vuole assegni in forma libera (il cui utilizzo è consentito fino a 999,99 euro) li può chiedere ma ricordandosi che si applica un’imposta di bollo di 1,50 euro.

Per cercare di rendere meno rigido il meccanismo entrato in vigore dal 4 luglio 2017 con il provvedimento che recepisce la quarta direttiva comunitaria antiriciclaggio (Dlgs 90/2017), si sta studiando una soluzione in extremis da far salire sull’ultimo (e unico al momento) treno disponibile: lo schema di decreto legislativo che consente alle autorità fiscali di accedere alle informazioni raccolte appunto nel contrasto al riciclaggio. Il parere messo a punto dal relatore Sergio Boccadutri (Pd) segnala al Governo «l’opportunità di adottare correttivi tesi ad evitare i potenziali effetti distorsivi derivanti dalla previsione di sanzioni amministrative pecuniarie con un minimo e un massimo edittale determinato ma non ancorato all’entità dell’importo trasferito in violazione» e chiede di «assicurare che la sanzione amministrativa pecuniaria, e la relativa oblazione, sia ragionevole e proporzionata rispetto al valore dell’operazione posta in essere in violazione delle norme, in particolare per le operazioni di importo esiguo».

In sostanza, tra le osservazioni segnalate al Governo sullo schema di Dlgs, Boccadutri chiede di intervenire subito (già con l’approvazione definitiva del decreto in Consiglio dei ministri) e di riportare il meccanismo sanzionatorio nell’alveo della proporzionalità.

Un’occasione che può servire anche a chiarire meglio la decorrenza del «favor rei» delle nuove sanzioni antiriciclaggio nel loro complesso e a precisare che la sanzione da mille a 10mila euro per i “compro oro” copre la violazione sia dell’obbligo di identificazione del cliente sia del divieto di operazioni in contanti per importi superiori ai 500 euro.

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