Gli Internet Service Provider non sono responsabili dei contenuti per le voci pubblicate dai propri utenti sulle piattaforme. È quanto stabilito da una sentenza del 19 febbraio 2018 della Corte di Appello, che dà ragione a Wikipedia nel ricorso intentato da Cesare Previti che aveva impugnato una sentenza del Tribunale di Roma del 2013. In quel caso i giudici avevano sancito che l’enciclopedia online, in quanto fornitore di servizi di hosting e non di contenuti, non potesse essere ritenuta responsabile dei contenuti scritti dagli utenti. In sede di appello, Previti chiedeva di riformare la decisione di primo grado considerando Wikipedia corresponsabile per affermazioni inesatte e diffamanti contenute nella voce italiana di Wikipedia a lui dedicata.
La Corte di Appello, con sentenza del 19 febbraio 2018, ha respinto l'appello da un lato riaffermando l'irresponsabilità di Wikipedia per le voci pubblicate dagli utenti sull'enciclopedia. La decisione dei giudici di secondo grado su Wikipedia, assistita da Hogan Lovells con Marco Berliri e Massimiliano Masnada, offre una chiara interpretazione della normativa di settore sul ruolo degli Internet Service Provider. In particolare per quanto riguarda la mancanza di responsabilità per i contenuti di terzi e sul dovere di rimozione, che può seguire esclusivamente da un ordine dell'autorità competente, derivante dalla certezza del contenuto illecito. Che, nel caso di diffamazione online, la Corte individua nell'utilizzo di espressioni “univocamente lesive”.
Secondo la Corte, nessun obbligo preventivo di controllo poteva essere imputato a Wikipedia dal momento che l'illecito non risultava da nessun provvedimento della competente autorità e non essendo stata attivata la procedura di modifica prevista dal sito.
La Corte di Appello ha inoltre ribadito che «la giurisprudenza è univoca nel riconoscere che mere comunicazioni di parte non siano sufficienti ad ingenerare nel provider quella “conoscenza effettiva” da cui scaturisce, ai sensi dell'art. 16 del D.vo 70/2003, un obbligo di intervento; tanto meno, per le ragioni dette, da tali mere comunicazioni di parte avrebbe potuto trarsi prova dell'elemento soggettivo illecito in capo al provider».
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