Più controlli, accertamenti e indagini del Fisco sui professionisti. Le verifiche programmate sugli studi, insieme a quelle sulle piccole imprese, sono 140mila quest’anno, in linea con l’anno scorso. Ma sono destinate a crescere al ritmo di 10mila in più nel 2019 e nel 2020. Questi sono gli obiettivi che l’agenzia delle Entrate ha messo nero su bianco nell’ultimo piano degli indicatori di bilancio. Numeri che – a tendere – alzano il livello d’attenzione, se è vero che tra il 2015 e il 2016 la Corte dei conti aveva registrato un calo del 26% degli accertamenti, fermi appunto a poco più di 100mila due anni fa e poi risaliti a 142.700 l’anno scorso.
Così, dopo il calo della maggiore imposta accertata, dai circa 10 miliardi del 2015 ai 6,8 dell’anno seguente, ora il Fisco sembra voler invertire la tendenza. Con quali strumenti, però, sarà tutto da scoprire. Di certo, le cifre ufficiali certificano il declino degli studi di settore: basti pensare che per uno studio medico la possibilità di inciampare in Gerico tra il 2013 e il 2016 è scesa da un già modesto 1,6% allo 0,8 per cento. Mentre per gli avvocati e i consulenti del lavoro il “rischio” è ancora più basso.
Molto più utilizzate, invece, sono le strategie di controllo che puntano a ricostruire gli importi non dichiarati partendo da indizi più o meno probanti: dall’agenda degli appuntamenti ai consumi di carta e materiali di cancelleria. In questo filone, tra i trend che hanno fatto più discutere c’è l’utilizzo dei viaggi autostradali registrati dal Telepass, che in alcuni casi sono stati contestati in quanto incompatibili con il giro d’affari dichiarato. Tra gli aspetti monitorati dal Fisco anche le prestazioni gratuite svolte dai professionisti, effettuate partendo dalle «rinunce al compenso» o dai cosiddetti «nulla a pretendere» rilasciati alla clientela (si veda Il Sole 24 Ore del 15 marzo).
Nel raccontare le strategie dell’amministrazione finanziaria, non va sottovalutato l’impatto della crisi economica, che non ha certo risparmiato i professionisti. Detto diversamente: il calo del dichiarato non è riconducibile semplicisticamente al sommerso.
Secondo i dati dell’Associazione previdenziale degli enti privati-Adepp, l’ultimo anno in cui i redditi medi sono aumentati è stato il 2009. Da lì in avanti la discesa è stata continua e nel periodo 2010-2016 ha tagliato i redditi medi dei liberi professionisti dell’11,3%, facendoli scendere da 38mila a meno di 34mila euro.
Anche per questo sarà interessante vedere l’evoluzione delle cifre medie accertate nei prossimi anni. La Corte dei conti rileva per il 2016 una media di circa 12mila euro, importo che può apparire modesto in valore assoluto, ma che va rapportato – per l’appunto – al giro d’affari dei soggetti coinvolti. Guardando ai dati dichiarati ai fini degli studi di settore per l’anno d’imposta 2015, che pure non sono perfettamente sovrapponibili con l’imponibile previdenziale monitorato dall’Adepp, si vede che quattro professionisti su dieci hanno compensi e ricavi inferiori ai 30mila euro, con una media che – includendo anche i soggetti non congrui – supera di poco i 14.500 euro all’anno.
Per quanto gli studi di settore siano sempre meno usati come strumenti di accertamento - come si è detto - i dati delle Finanze offrono comunque un altro interessante spaccato della categoria. In termini di aderenza ai risultati del software Gerico, i professionisti superano tutte le altre tipologie di contribuenti (commercio, servizi, estrazione e manifatture). Tra coloro che dichiarano meno di 30mila euro di ricavi, la percentuale dei soggetti non congrui e non adeguati si ferma al 19%, mentre negli altri comparti non scende mai sotto il 30 per cento. Ancora più netto lo scarto se si sale sopra i 30mila euro di compensi e ricavi: qui la quota di chi non è congruo e non si adegua scende al 10% contro percentuali (almeno) doppie registrate negli altri settori.
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