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Il bitcoin finisce nella dichiarazione dei redditi

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fisco e criptovalute

Il bitcoin finisce nella dichiarazione dei redditi

I bitcoin, e in generale le criptovalute, vanno monitorati nel quadro RW del modello Redditi PF 2018 se detenute al di fuori del circuito degli intermediari residenti. Questa l’importante indicazione contenuta in una risposta (non pubblica) rilasciata dall’agenzia delle Entrate a un interpello.

Sulla scia della risoluzione n. 72/E/2016 (unico documento di prassi che ha assimilato le valute virtuali a quelle estere), l’amministrazione conferma che – nel rispetto della circolare n. 38/E/2013 sul monitoraggio fiscale – anche le valute virtuali ricadono nell’obbligo dichiarativo RW.

Posizione rilevante in vista dell’imminente stagione dichiarativa, considerato che sul punto aleggiava incertezza tra operatori e contribuenti: pare ormai certo che chiunque abbia detenuto criptovalute nel 2017 dovrà interrogarsi sulla compilazione del quadro RW. Oltre a questa importante conclusione, il documento contiene precisazioni anche sui profili Irpef e Ivafe che lasciano invece aperti dubbi operativi anche in chiave RW.

L’impatto su Iva e Ivafe

Ai fini Irpef, l’Amministrazione richiama (e chiarisce) le conclusioni della risoluzione 72/E ribadendo che le valute virtuali, se detenute al di fuori del regime di impresa, possono generare un reddito diverso tassabile secondo i principi che regolano le operazioni aventi a oggetto valute tradizionali, previsti dall’articolo 67 del Tuir: può dunque rilevare ogni conversione di bitcoin con altra valuta virtuale (oppure da valute virtuali in euro) realizzata per effetto di una cessione a termine oppure a pronti se la giacenza media dell’insieme dei “wallet” (portafoglio elettronico, evidentemente considerato l’equivalente di un deposito tradizionale ai fini dell’articolo 67) detenuti dal contribuente, ha superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi. La giacenza va calcolata sulla base del rapporto di cambio al 1° gennaio, rilevato sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale o in mancanza quello dove ha effettuato la maggior parte delle operazioni. La plusvalenza (al netto di eventuali minusvalenze scomputabili) va dichiarata nel quadro RT, utilizzando il criterio Lifo in caso di vendite parziali, liquidando la relativa imposta sostitutiva del 26%. Il costo, se non documentabile, può essere calcolato dividendo l’importo del bonifico effettuato all’exchanger per il numero di criptovalute acquistate.

Ai fini Ivafe, in senso opposto all’assimilazione tra wallet e depositi sopra accennata, l’Agenzia precisa che le criptovalute non sono soggette a tassazione in quanto l’imposta si applica esclusivamente ai depositi e conti correnti di natura “bancaria”.

L’obbligo dichiarativo

Dato questo quadro, il documento lascia potenzialmente aperte alcune domande: l’obbligo di RW sussiste a prescindere dal realizzo di un reddito imponibile nel periodo d’imposta? La risposta sembrerebbe essere positiva, per coerenza con i criteri di compilazione del quadro RW.

Ancora, si applica la soglia di 15mila euro prevista per depositi e conti correnti bancari? La risposta sembrerebbe negativa, considerata l’assenza di riferimenti espliciti nel documento e soprattutto la conclusione raggiunta ai fini Ivafe. È questo il punto più delicato, perché oltre agli investitori più esperti, sono molti i contribuenti che, spinti dall’onda mediatica degli ultimi mesi, hanno investito piccole somme. Per contro, nel documento si precisa che l’investimento in criptovalute va monitorato utilizzando il cambio al 31 dicembre (o alla data di vendita), rilevato sul sito utilizzato per l’acquisto, e il codice 14 «altre attività estere di natura finanziaria» in colonna 3. Dovrebbe dunque essere quanto meno consentita la stessa modalità di compilazione “semplificata”, introdotta per i dossier titoli dalla circolare 12/E/2016.

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