Se per evitare l’aumento dell’Iva (12,4 miliardi nel 2019) si può provare a “forzare” sul deficit per lo 0,6-0,7% del Pil (elevando cosi l’asticella fissata dal Def allo 0,8%), per le coperture della “flat tax” la strada è una sola: non si può ricorrere al deficit, occorre individuare risorse compensative “vere”. In poche parole coperture a prova di Bruxelles e dei mercati. Un’operazione fattibile? Naturalmente dipenderà da come il nuovo governo intenderà strutturare la nuova curva del prelievo Irpef (aliquote, scaglioni e detrazioni). Se fossero confermati i costi della riforma targata Lega-Cinque Stelle, stimati in circa 50 miliardi a regime, è del tutto evidente che si tratta di cifre incompatibili con l’attuale situazione dei conti pubblici. Se per ipotesi la riforma a due aliquote fosse spalmata in cinque anni, occorrerebbe recuperare 10 miliardi l’anno.
Il tema delle coperture è prioritario. Poiché si tratterebbe di una perdita permanente di gettito, la strada è obbligata: vanno messe in campo misure strutturali e sul fronte della spesa corrente. Il ricorso alla “pace fiscale” di cui si fa esplicita menzione nel “Contratto di programma” non può essere inserito tra gli addendi delle coperture. Incassi una tantum non possono andare a coprire perdite permanenti di gettito. Si immagina che la flat tax possa “autofinanziarsi” almeno in parte grazie alla spinta sul Pil attesa dalla vigorosa spinta ai consumi indotta dalla detassazione dei redditi? Anche in questo caso si tratterebbe di una copertura a rischio, poiché è arduo stimare ex ante l’impatto reale sul Pil di una riforma fiscale a due aliquote di questa natura.
Non resterebbe che la strada, peraltro la più corretta alla luce delle regole di finanza pubblica e di un semplice calcolo costi/benefici, in base alla quale riduzioni permanente del prelievo fiscale vanno finanziati attraverso contestuali tagli alla spesa. Si può fare? Sulla carta si ma tagliare la spesa per entità così rilevanti è impresa a dir poco ardua, come mostrano tutti i più recenti tentativi di spending review messi in campo negli ultimi anni. In più va osservato che tagli alla spesa non attentamente calibrati e selezionati rischiano di comportare effetti recessivi al pari dell’aumento dell’Iva che correttamente si punta a evitare (le ormai famose clausole di salvaguardia).
Il tutto lascia presupporre che l’ambizioso progetto della flat tax dovrà essere declinato, riscritto e calibrato alla luce delle risorse effettivamente disponibili. Finanziare in deficit una riforma di tale portata esporrebbe il paese a una clamorosa bocciatura da parte dei mercati, prima ancora che di Bruxelles. Non lo consente il nostro debito pubblico, che al contrario va ridotto con costante gradualità. Come ha ricordato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco nelle sue Considerazioni finali, sul debito non esistono scorciatoie. Occorre mantenere un controllo stretto della finanza pubblica, con avanzi primari attorno al 3-4% del Pil e puntare a una crescita più sostenuta. Più Pil meno debito, in sintesi.
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