La nozione di «coniuge» riguarda anche i matrimoni contratti da persone dello stesso sesso, a prescindere dal fatto che uno Stato membro autorizzi il matrimonio omosessuale. In forza di questo, non si può ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell'Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di un Paese non Ue, un diritto di soggiorno derivato sul loro territorio. È questa la conclusione a cui è giunta oggi la Corte di Giustizia Ue con la sentenza nella causa C-673/16.
Un cittadino rumeno e un cittadino americano, dopo aver convissuto per quattro anni negli Stati Uniti, si sono sposati a Bruxelles nel 2010. Nel dicembre 2012 i coniugi hanno chiesto alle autorità rumene informazioni circa la procedura e le condizioni in cui il cittadino americano potesse ottenere, in quanto familiare del cittadino rumeno, il diritto di soggiornare legalmente in Romania per un periodo superiore a tre mesi. Tale domanda era fondata sulla direttiva relativa all'esercizio della libertà di circolazione , che permette al coniuge di un cittadino dell'Unione che abbia esercitato tale libertà di raggiungere quest'ultimo nello Stato membro in cui soggiorna.
In risposta a tale richiesta, le autorità rumene hanno informato la coppia che il diritto di soggiorno era limitato a tre mesi perché il coniuge di nazionalità americana non poteva essere qualificato in Romania quale «coniuge» di un cittadino dell'Unione, dato che tale Stato membro non riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
I due coniugi hanno quindi proposto dinanzi ai giudici rumeni un ricorso diretto a far dichiarare l'esistenza di una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale, per quanto riguarda l'esercizio del diritto di libera circolazione nell'Unione. La Corte costituzionale romena, investita di un'eccezione d'incostituzionalità nell'ambito di tale controversia, ha quindi chiesto alla Corte di giustizia se il componente di nazionalità statunitense della coppia rientra nella nozione di «coniuge» di un cittadino dell'Unione che ha esercitato la sua libertà di circolazione e debba ottenere di conseguenza la concessione di un diritto di soggiorno permanente in Romania.
Con la sua sentenza, la Corte ricorda, innanzitutto, che la direttiva relativa all'esercizio della libertà di circolazione non può fondare un diritto di soggiorno derivato a favore di un cittadino extra-Ue nella situazione familiare come quella esplicitata nella controversia . Tuttavia la Corte ricorda che, in alcuni casi, cittadini di Stati non-Ue, familiari di un cittadino dell'Unione, che non potevano beneficiare, sulla base delle disposizioni della direttiva, di un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui tale cittadino abbia la cittadinanza, possono tuttavia vedersi riconosciuto un simile diritto sulla base dell'articolo 21, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, disposizione che conferisce direttamente ai cittadini dell'Unione il diritto fondamentale e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
La Corte prosegue indicando che le condizioni di concessione di tale diritto di soggiorno derivato non devono essere più rigorose di quelle previste dalla direttiva per la concessione di un simile diritto di soggiorno a un cittadino di uno Stato non-Ue, familiare di un cittadino dell'Unione che abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza.
Nell'ambito della direttiva sull'esercizio della libertà di circolazione, spiega la Corte, la nozione di «coniuge», che designa una persona unita ad un'altra da vincolo matrimoniale, è neutra dal punto di vista del genere e può comprendere quindi il coniuge dello stesso sesso di un cittadino dell'Unione. La Corte precisa, peraltro, che lo stato civile delle persone, a cui sono riconducibili le norme relative al matrimonio, è una materia che rientra nella competenza degli Stati membri e che il diritto dell'Unione non pregiudica tale competenza. Questi ultimi restano quindi liberi di prevedere o meno il matrimonio omosessuale. Essa rileva altresì che l'Unione rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale.
La Corte considera, tuttavia, che il rifiuto, da parte di uno Stato membro, di riconoscere, ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non-Ue, il matrimonio di quest'ultimo con un cittadino dell'Unione dello stesso sesso, legalmente contratto in un altro Stato membro, è atto ad ostacolare l'esercizio del diritto di detto cittadino di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Ciò comporterebbe che la libertà di circolazione varierebbe da uno Stato membro all'altro in funzione delle disposizioni di diritto nazionale che disciplinano il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Ciò premesso, la Corte ricorda che la libera circolazione delle persone può essere oggetto di restrizioni indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate, qualora tali restrizioni siano basate su considerazioni oggettive di interesse generale e siano proporzionate allo scopo legittimamente perseguito dal diritto nazionale. A tale riguardo, l'ordine pubblico, che nel caso di specie viene invocato come giustificazione per limitare il diritto di libera circolazione, dev'essere inteso in senso restrittivo, di guisa che la sua portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell'Unione. L'obbligo per uno Stato membro di riconoscere, ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non-Ue, un matrimonio omosessuale contratto in un altro Stato membro conformemente alla normativa di quest'ultimo non pregiudica l'istituto del matrimonio in tale primo Stato membro. In particolare, tale obbligo non impone a detto Stato membro di prevedere, nella sua normativa nazionale, l'istituto del matrimonio omosessuale. Inoltre, un simile obbligo di riconoscimento ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non-UE non attenta all'identità nazionale né minaccia l'ordine pubblico dello Stato membro interessato.
La Corte ricorda infine che una misura nazionale idonea ad ostacolare l'esercizio della libera circolazione delle persone può essere giustificata solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Dal momento che il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare è garantito all'articolo 7 della Carta, la Corte rileva che anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo risulta che la relazione che lega una coppia omosessuale può rientrare nella nozione di «vita privata», nonché in quella di «vita familiare», al pari della relazione che lega una coppia di sesso opposto che si trovi nella stessa situazione.
© Riproduzione riservata