In attesa di vedere se e quando debutterà la Dual tax, anche gli ultimi dati confermano un trend che pare immutabile negli anni.
C’è un’Italia che continua a spendere più di ciò che guadagna. O, meglio, più di ciò che dichiara al Fisco di guadagnare. Anche nel 2017 (anno d’imposta 2016), ogni 100 euro denunciati dalle persone fisiche al netto delle imposte, l’Istat ha rilevato una spesa delle famiglie di 114,4.
Il tutto per un divario che in valore assoluto è pari a 98,7 miliardi, come rileva una ricerca condotta dall’Università della Tuscia per Il Sole 24 Ore del Lunedì.
La fetta più grande di questi consumi “non giustificati” arriva dalla Lombardia (23,4 miliardi), seguita dal Lazio (13,8). Un primato derivante anche dal fatto che si tratta di regioni popolose e con un tenore di vita relativamente elevato. In termini percentuali, però, il divario maggiore si rileva nel Sud e nelle Isole, dove la Campania arriva al 21,1%, la Sardegna al 20,9 e la Puglia 20,7 per cento. Ma balza all’occhio anche la posizione della Toscana (19,2%). Qualche caveat in più nella lettura dei dati su Molise e Valle d’Aosta, che - per le piccole dimensioni - potrebbero essere più sensibili al disallineamento delle residenze tra emigranti e proprietari di seconde case. L'unica regione in controtendenza sono le Marche, poco oltre la parità (-1,6%).
Lo scarto tra consumi e reddito disponibile non è una prova sicura di evasione fiscale, ma certo un indicatore di rischio. E un fattore di cui tenere conto dopo che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha annunciato un inasprimento delle sanzioni amministrative penali contro i grandi evasori. L’impressione, infatti, è che nel sommerso delle persone fisiche pesino molto anche i piccoli importi.
Vista da un’altra angolazione, l’entità dei consumi “non giustificati” lascia intravedere una massa di redditi non dichiarati che potrebbero costituire nuova base imponibile per la prospettata Dual tax. Ma, al tempo stesso, rafforza l’esigenza di trovare solide coperture. Immaginiamo di poter tassare i 98,7 miliardi di scostamento al 15 o 20% (con lo “scalone” presente in alcune delle ipotesi circolate finora): si può stimare un extra gettito di 15,4 miliardi. E il calcolo, sia pure approssimativo, dimostra quanto potrebbe rivelarsi difficile raggiungere i 50 miliardi di coperture necessarie seconde le prime stime.
Può insegnare qualcosa l’esperienza della cedolare secca sugli affitti, che di fatto è una flat tax con aliquota differenziata in base al tipo di contratto. E che è stata pensata, fin dall’inizio, anche come misura per combattere il nero. Secondo il Rapporto sul contrasto all’evasione (allegato alla nota di aggiornamento del Def 2017), la cedolare ha ridotto di un miliardo il tax gap nel settore delle locazioni tra il 2011 e il 2015. Con un tasso di emersione ormai vicino al punto di pareggio (46,5% rispetto all’obiettivo del 52 per cento). Se ne ricava la lezione che questi meccanismi, per funzionare, hanno bisogno di tempo e di stabilità normativa. In qualche modo, i cittadini devono “fidarsi” e percepire che dichiarare gli introiti “conviene”. Altrimenti, l’aliquota zero del nero sarà sempre preferibile a qualsiasi aliquota scontata. Ed è qui che si innesta, con l’annunciata stretta sulla sanzioni, anche l’ipotesi della “pace fiscale”. Che andrà ben calibrata per non rischiare di inviare un messaggio contraddittorio ai contribuenti.
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