In caso di stupro, non può scattare l’aggravante dell’uso di sostanze alcoliche se la vittima ha bevuto spontaneamente. La Corte di cassazione, con la sentenza 32462 della terza sezione penale, accoglie in parte il ricorso di due imputati cinquantenni condannati dalla Corte d’Appello per un caso di stupro di gruppo. Nella pena di tre anni inflitta dai giudici di secondo grado aveva pesato anche l’aggravante che scatta quando il fatto è commesso con l’uso di sostanze alcoliche.
Per la Cassazione però la Corte territoriale deve rivedere il suo verdetto rispetto all’aggravante perché dagli atti delle indagini risulta che la donna si era “ubriacata” per sua scelta. I giudici di legittimità respingono per il resto la tesi della difesa dei due violentatori secondo i quali il consenso era stato prestato prima della cena a casa della vittima e dunque non c’era stata alcuna violenza sessuale. La Suprema corte ricorda che la condizione di inferiorità psichica o fisica c’è sia quando l’assunzione di alcol è spontanea sia quando è indotta. In ogni caso si determina, infatti, uno stato di “infermità” della vittima e l’aggressione della sua sfera sessuale è comunque messa in atto con modalità insidiose e subdole. Ed è dunque chiaro che in tali circostanze non si possa parlare di consenso. Tuttavia la pena potrebbe essere rivista al ribasso in sede di rinvio perchè la Cassazione nega che , nello specifico, si corretto applicare l’aggravante dell’uso delle bevande alcoliche.
La norma, spiegano i giudici, prevede, infatti, «l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti (o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa)». L’uso di alcol deve essere quindi necessariamente strumentale alla violenza sessuale «ovvero deve essere il soggetto attivo del reato che usa l’alcol per la violenza, somministrandolo alla vittima; invece l’uso volontario, incide sì, come visto, sulla valutazione del valido consenso, ma non anche sulla sussistenza dell’aggravante».
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