È incostituzionale subordinare il beneficio dell’assistenza esterna ai figli minori di 10 anni, alla scelta di collaborare con la giustizia. La Consulta, con la sentenza 174 di ieri, passa un colpo di spugna sulla norma dell’ordinamento penitenziario che mette un paletto insuperabile, e sottratto al vaglio del giudice togliendo - alla madre condannata per uno dei reati “ostativi” che non si “ravvede” - la possibilità di prendersi cura all’esterno del carcere dei propri figli, condizionando così il rapporto con la prole in tenera età.
La norma “cancellata” scatta in caso di reati gravi che precludono l’accesso al beneficio, oppure lo condizionano all’espiazione di un terzo della pena, salvo che venga accertata una collaborazione attiva con la giustizia. I giudici delle leggi chiariscono che mentre è possibile subordinare l’accesso ad un “trattamento di favore” nel caso in cui quest’ultimo abbia come unico scopo la risocializzazione del detenuto, lo stesso non si può fare quando c’è in gioco la tutela dell’interesse di un terzo, e in particolare quello di un figlio minore già garantito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre del 1989 e resa esecutiva dopo la ratifica con la legge 176/1991. Di ostacolo anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Un criterio in linea con i precedenti della Consulta.
In particolare con la sentenza 239/2014 i giudici hanno chiarito che l’interesse del minore, a beneficiare in modo continuativo dell’affetto e delle cure materne non è protetto in modo assoluto, ma può essere messo sul piatto della bilancia con esigenze contrapposte sempre di rilievo costituzionale, come la difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena. Questo però a patto che l’interesse del minore non resti in modo irragionevole un “passo indietro” rispetto alle esigenze della società di proteggersi dal crimine. Perché ciò avvenga occorre che il giudice sia messo nella condizione di fare una valutazione tra i due interessi in gioco, del tutto slegata da indici presuntivi, che impediscono alla toga ogni margine di manovra nell’apprezzare le singole situazioni. La Consulta sottolinea dunque, che i requisiti di legge per accedere al beneficio finalizzato a favorire, al di fuori della restrizione di una cella, il rapporto madre-figlio, non possono coincidere con quelli per l’accesso al diverso “bonus” del lavoro esterno del tutto privo di ricadute su soggetti diversi dal detenuto.
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