Il magistrato titolare del procedimento sulle violenze subìte da una donna non deve essere un burocrate. Ma deve attivarsi, coinvolgendo anche i colleghi, per evitare che la situazione si aggravi.
La Corte di cassazione (sentenza 20355) ha respinto il ricorso di un sostituto procuratore, sanzionato, dalla commissione
disciplinare del Csm, con il “taglio” di due mesi di anzianità per non aver fatto in modo che il responsabile di ben tre
aggressioni, in quattro mesi, ai danni della compagna, finisse in carcere invece di restare agli arresti domiciliari. La
donna era stata uccisa dal suo convivente malgrado lo avesse più volte denunciato per maltrattamenti. Il magistrato si
era limitato, ricevute le informative, ad avvisare l’indagato della chiusura delle indagini preliminari a suo carico per il
reato di lesioni aggravate. Troppo poco per l’organo di autogoverno dei giudici, secondo i quali la toga con il suo comportamento
aveva creato un danno ingiusto alla vittima e leso il prestigio della magistratura . Di fronte ad un quadro allarmante la
toga avrebbe potuto e dovuto evitare l’escalation violenta, facendo in modo che per l’aggressore si aprissero le porte del
carcere. Il passo in più da fare, oltre i semplici adempimenti di routine, era quello di informare il procuratore aggiunto
e il collega assegnatario del fascicolo per sollecitare l’adozione della misura cautelare più grave. Azioni che si imponevano
nell’ambito di una procura nella quale era stato costituito un pool dedicato alle violenze in famiglia, che presupponeva
uno scambio di informazioni all’interno del gruppo. Anche se alla toga finita nel mirino del Csm, non competeva direttamente
il compito di assumere iniziative cautelari, avrebbe dovuto fare di più, calibrando le sue azioni sulla gravità del caso.
E che la violenza sulle donne sia un problema drammatico è dimostrato dai numeri resi noti ieri dal Viminale.
A fronte di un trend in calo dei reati in Italia, come conferma il ministero dell’Interno, c’è il dato inquietante che
riguarda il femminicidio. Nel periodo dal 1 agosto 2017 al 31 luglio 2018, se gli omicidi diminuiscono (da 371 a 319, il
16,3% in meno), le donne sono state vittime del 37,6% degli 319 omicidi volontari e, in particolare, del 68,7% dei 134 omicidi
maturati in ambito familiare/affettivo. Ad “armarsi” nell’89,6% dei casi é il partner, l’ex partner (l’85,7%) o un altro
familiare (58,6%). E troppo spesso il grido di aiuto delle vittime resta inascoltato e finisce con un grande silenzio.
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