L’immigrato indigente non può essere condannato per non aver obbedito all’ordine di lasciare l’Italia se è indigente al punto da non poter organizzare la partenza. Né spetta a lui l’onore di provare la situazione di estrema povertà. La Cassazione, con la sentenza 39773, accoglie il ricorso di un cittadino algerino privo di documenti e alloggiato presso la Caritas, che era stato condannato, da un giudice di pace, a pagare 10 mila euro di multa per non aver eseguito quanto ordinato dal questore dopo il decreto di espulsione emesso dal prefetto di Alessandria.
Con un’indagine, che la stessa Cassazione considera a tempo di record, il giudice di pace era giunto alla conclusione “ frettolosa” che il disagio economico non era tale da impedirgli di rispettare la legge e dunque di comprare il biglietto per tornare al suo paese. Un rapido controllo che aveva portato a concludere per la sanzione pecuniaria, malgrado qualche “indizio” di indigenza esistesse.
L’uomo era nel circuito assistenziale e lo stesso ordine di espulsione era scattato proprio per «mancanza di fonti lecite finanziarie». In più la Suprema corte ricorda che sulla scia della pronuncia El Dridi della Corte Ue ci sono stati degli interventi sia sul testo unico immigrazione sia sul Dlgs che detta le disposizioni sulla permanenza degli stranieri nel territorio. E oggi l’intimazione di allontanamento può avvenire solo nel caso siano infruttuosi i meccanismi per agevolare la partenza volontaria e alla fine del periodo di trattenimento nei centri di identificazione.
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