La depenalizzazione dell’ingiuria non salva dalla sanzione disciplinare il magistrato che manda a quale paese un vigile urbano. La Cassazione esclude la possibilità di applicare agli illeciti disciplinari, che hanno natura amministrativa, la norma che ha mandato in soffitta il reato di ingiuria. Inutilmente la toga incolpata ha chiesto alla Suprema corte di passare un colpo di spugna sulla sanzione dell’ammonimento che il Consiglio superiore della magistratura gli aveva inflitto per la “parolaccia” indirizzata al “pizzardone”.
Per i giudici di legittimità non vale dunque il principio di retroattività che scatta in nome del favor rei. Anche i magistrati sono esseri umani si sa e, nel traffico, pure a loro può capitare di perdere le staffe. Le toghe però, a differenza del comune cittadino, non possono permettersi le stesse intemperanze che, anche in virtù della dura legge del “Raccordo” la Cassazione ha da tempo sdoganato per i privati cittadini. Nel caso dei magistrati la norma disciplinare tutela l’immagine della categoria: un bene che non può essere toccato dalla nuova valutazione fatta dal legislatore per l’ingiuria. E l’organo di autogoverno dei giudici ha giustamente punito.
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