Sulla pensione di invalidità nessuna discriminazione tra italiani e stranieri regolari. L’inps non può, dunque, subordinare
il via libera all’assegno di invalidità civile al permesso di soggiorno di lungo periodo. Né, ovviamente, il giudice può dare
ragione all’istituto di previdenza. La Cassazione (sentenza 23763) accoglie il ricorso del padre di una ragazza Colombiana,
contro la decisione della Corte d’Appello, secondo la quale era lecito subordinare il pagamento del “beneficio” assistenziale
al possesso della carta di soggiorno di cinque anni. Il ricorrente, come amministratore di sostegno della figlia, incassa
la vittoria solo nell’ultimo grado di giudizio, ottenendo una pronuncia che afferma il diritto alla provvigione sulla scia
delle sentenze della Consulta. Già dal 2008 ricordano i giudici, la Corte costituzionale (sentenza 306/2008) ha bocciato la
norma che escludeva l’indennità di accompagnamento per gli extracomunitari che non avevano i requisiti di reddito, stabiliti
allora per la carta di soggiorno, e ora fissati per il permesso di soggiorno Ce per chi è nel territorio da un lungo periodo.
Su questa linea i giudici delle leggi si sono mossi ancora nel 2013 (sentenza 40) per passare un colpo di spugna anche sulla
norma che condizionava, per gli stranieri regolari, indennità di accompagnamento e pensione di inabilità, alla titolarità
di una carta di soggiorno.
Dalla Corte costituzionale era arrivata un’indicazione chiarissima: non è possibile fare nessuna disparità di trattamento tra stranieri regolari, presenti non occasionalmente, e cittadini italiani, quando si tratta di tutela dei disabili. Lo Stato non può fissare requisiti diversi da quelli previsti per tutti, ma deve garantire il diritto al sostentamento della persona e la salvaguardia di condizioni vita accettabili per il contesto familiare in cui è inserita un persona con handicap. Qualunque diversa conclusione è in contrasto dunque con la nostra Carta, e con l’articolo 14 della Convenzione europea dei diritto dell’Uomo. Una norma che i giudici di Strasburgo hanno interpretato in modo rigoroso, negando la possibilità di introdurre leggi restrittive, che andrebbero a colpire soggetti con gravi problemi di salute. Casi in cui entrano in gioco diritti fondamentali dell’individuo e l’esigenza di solidarietà in presenza di situazioni di disagio sociale. Principi che la Cassazione aveva già affermato nel 2012 con la sentenza 4110, in un caso analogo e che ribadisce oggi.
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