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Corte Ue, accesso ai dati personali giustificato anche per reati non gravi

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Corte Ue, accesso ai dati personali giustificato anche per reati non gravi

Via libera all’accesso ai dati personali conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, anche in caso di reati non particolarmente gravi , se questo non comporta una limitazione “pesante” della vita privata.
Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Ue rispondendo alle domande pregiudiziali del giudice spagnolo. Il caso riguardava le indagini su una rapina con sottrazione di un portafoglio e di un telefono cellulare. La polizia giudiziaria spagnola aveva chiesto al giudice istruttore di accordarle l’accesso ai dati di identificazione degli utenti dei numeri di telefono attivati dal telefono rubato per un periodo di dodici giorni a partire dalla data della rapina.  Un permesso negato dal giudice istruttore perché i fatti all’origine dell’investigazione penale non riguardavano un reato grave, secondo il diritto spagnolo punibile con pena detentiva superiore a cinque anni. L’accesso ai dati di identificazione era, in effetti, possibile solamente per tale tipo di reati. La Corte di Lussemburgo ha fornito i criteri per delimitare il raggio d’azione della direttiva (2002/58/Ce) nel cui ambito rientra la possibilità di accesso alle informazioni parte delle autorità pubbliche impegnate nell’istruire un procedimento penale.


Per gli eurogiudici l’accesso ai dati finalizzato all’identificazione dei titolari di carte Sim, attivate con un telefono cellulare rubato, come il cognome, il nome e, in caso, l’indirizzo dei titolari, provoca in effetti un “intrusione” nei diritti fondamentali di questi ultimi, sanciti nella Carta. Tuttavia, tale ingerenza non è così grave da dover limitare l’ accesso, in materia di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, alla lotta contro la criminalità grave. Per quanto riguarda l’obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, la formulazione della direttiva non limita tale obiettivo alla lotta contro i soli reati gravi, ma si riferisce ai «reati» in generale. Di conseguenza «qualora l’ingerenza non sia grave, l’accesso può essere giustificato da un obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di un «reato» in generale».
La Corte sostiene che non si ha un’ingerenza «grave» nei diritti fondamentali delle persone se i dati in questione «non permettono di trarre conclusioni precise sulla loro vita privata».

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