Norme & Tributi

No all’assegno tarato solo sulla ricchezza del padre

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No all’assegno tarato solo sulla ricchezza del padre

Il giudice non può aumentare l’assegno di mantenimento in favore del figlio basandosi solo sulla notevole disponibilità economica del padre, senza guardare alle reali esigenze del minore. La Corte di cassazione, con la sentenza 25134 depositata ieri, accoglie il ricorso di un genitore, contro la decisione della corte d’Appello di far lievitare l’assegno in favore del figlio, nato fuori dal matrimonio, da 800, come stabilito dal Tribunale, a 1.500 euro al mese. Una cifra quasi raddoppiata, senza una motivazione convincente, ad avviso della Suprema corte.

La decisione era, infatti, stata presa senza fare alcun riferimento alle reali esigenze di vita del bambino e in assenza di una valutazione compariva dei redditi dei genitori. La Corte di merito si era limitata ad affermare l’impossibilità di quantificare «con precisione aritmetica... le esigenze di un bambino che viva in ambienti familiari particolarmente benestanti». E dunque la via obbligata era un criterio equitativo. L’unico “parametro” considerato, in particolare, riguardava le «oltremodo consistenti risorse reddituali e patrimoniali» del padre. Per la Cassazione solo sulla base di questa asserzione si era giunti alla decisione, giustamente contestata dal ricorrente.

La corretta via da seguire, oltre all’indagine sui bisogni del minore, era anche la comparazione dei redditi di ciascun genitore e delle loro risorse. Valutazioni da fare in linea con quanto previsto dall’articolo 337-ter del Codice di rito civile, introdotto dal Dlgs 154/2013 sulla filiazione (articolo 7, comma 12). Una norma che fa specifico riferimento ai procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio. Per determinare l’assegno il giudice deve dunque tenere in considerazione una serie di elementi che vanno dalle esigenze del figlio, al tenore di vita da lui goduto durante la convivenza con i genitori . Nel giudizio pesano anche i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti. Nello specifico il bambino, in affidamento condiviso, era collocato presso la madre. Punto anche questo contestato dal ricorrente, ma senza successo. Tuttavia anche la circostanza che il bambino vivesse prevalentemente con la madre non giustifica il “raddoppio” dell’assegno di mantenimento solo in virtù della ricchezza del padre.

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