Nel 2017 solo 16 Comuni capoluoghi di provincia – su un totale di 115 – sono stati capaci di rilevare fenomeni corruttivi
al proprio interno. Un dato che rivela come l’operazione di auto-pulizia all’interno della Pubblica amministrazione avviata
con la legge Severino (legge 190/2012) non stia funzionando.
Questa sconfortante situazione emerge dal report «L’anticorruzione nei comuni italiani. Analisi delle relazioni dei responsabili
anticorruzione relative agli anni 2015 – 2016 – 2017» curato da Civico97, Trasparency Iternational Italia e Riparte il futuro.
Dal confronto con le annualità precedenti emerge che nell’anno appena trascorso i risultati sono stati addirittura più bassi
nel 2016, quando forse qualcuno ancora credeva che questo “apparato” potesse dare dei risultati.
Ma guardiamo i numeri. Intanto calano i comuni capaci di trovare gli illeciti, erano 23 nel 2015, 24 nel 2016 e ora sono scesi
a 16. Eppure nel 2017 sono stati 108 su 115 i Comuni che hanno adottato procedure di Whistleblowing, anche se solo il 39 casi
si tratta di sistemi informativi che garantiscono l’anonimato. Lo strumento “preferito” per denunciare il collega infedele
resta l’email (70) seguita dalla carta (62).
I dipendenti della Pa che nel 2017 hanno fatto delle segnalazioni sono stati 68, contro i 130 del 2016 e i 78 del 2015. I
Comuni che hanno ricevuto segnalazioni dai dipendenti sono stati 23 nel 2015, 21 nel 2016 e, appunto, solo 17 nel 2017.
Eppure la voglia di pulizia c’è, almeno secondo le segnalazioni raccolte dall’Auntorità anticorruzione: nel suo terzo rapporto
annuale l’Anac registra, infatti, 66,18 segnalazioni al mese nel 2018, più del doppio rispetto all’anno passato, quando erano
30,33.
Tra i pochi dati in crescita c’è il numero di segnalazioni provenienti da soggetti esterni erano state 20 nel 2016 e nel 2017
sono arrivate a quota 42 (il Comune peraltro ha l’obbligo di prenderle in considerazione solo dal dicembre del 2017, grazie
alla legge 179).
Il report è molto dettagliato sono, purtroppo i numeri, ad essere esigui. Tra le cause, forse, la definizione poco chiara di “eventi corruttivi” data dall’Anac, interpretata in modo non omogeneo dai Responsabili per la prevenzione della corruzione, cui spetta il compito di compilare ogni anno una Relazione annuale sulla base di un questionario preimpostato e pubblicato (di norma entro il 16 gennaio) sul sito di ogni comune, nella sezione “amministrazione trasparente” sotto la voce “altre attività”.
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