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No all’attenuante morale a chi uccide il malato per pietà

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omicidio

No all’attenuante morale a chi uccide il malato per pietà

(Marka)
(Marka)

La pietà verso un familiare che soffre senza possibilità di guarigione non giustifica la sua uccisione. La Cassazione torna a dire no all’”eutanasia domestica” chiarendo che: «nella attuale coscienza sociale il sentimento di compassione o di pietà è incompatibile con la condotta di soppressione della vita umana verso la quale si prova il sentimento medesimo». Per la Suprema corte (sentenza 50378) non si può, dunque, riconoscere un «particolare valore morale» nell’ omicidio di una persona che si trova in condizioni di grave e irreversibile sofferenza. Partendo da questo principio i giudici hanno respinto il ricorso di un marito di 88 anni, condannato a sei anni e sei mesi, per aver sparato tre colpi di pistola a sua moglie nel letto dell’ospedale in cui era ricoverata per l’aggravarsi dell’Alzheimer. All’uomo era stato riconosciuto, anche in sede di merito, di aver agito, per porre fine alle sofferenza della sua compagna di vita, assistita, dopo la malattia, per anni in casa.
Per i giudici alla finalità “altruistica” , si era aggiunta anche una componente egoistica: l’anziano non era più in grado di partecipare psicologicamente alle sofferenze della donna, costretta in ospedale. “Moventi” che si legano comunque all’effetto dell’uomo verso la moglie. Ma questo non basta per riconoscere il valore morale e sociale dell’azione e per accogliere la tesi della difesa secondo la quale «il sentire diffuso della comunità sociale, la partecipazione dell’altrui sofferenza può essere vissuto, in casi estremi, anche con la soppressione della vita sofferente». Un “principio” che attualmente - ad avviso della Cassazione - può essere applicato solo agli animali di compagnia, la cui uccisione, quando non sono più curabili può essere considerata una “pratica di civiltà”. Mentre «nei confronti degli esseri umani» operano «i principi finalizzati alla solidarietà e alla tutela della salute» e del «superiore rispetto della vita umana, che è il criterio della moralità dell’agire». Del tutto distinto, spiega la Cassazione, è il dibattito culturale sui limiti al trattamento di fine vita e sul rilievo del consenso del malato, fondato sul principio costituzionale del divieto di trattamenti sanitari obbligatori. Le sentenze di merito -come ricorda la Cassazione - hanno sottolineato che nella coscienza sociale è ancora dibattuto il tema dell’eutanasia. «E che comunque è chiaro il ripudio di condotte, come quella posta in essere dall’imputato, connotate da violenza mediante uso di arma da fuoco e in un luogo pubblico». La Cassazione nel febbraio scorso (sentenza 7390) in un caso analogo, in cui il marito aveva ucciso la moglie di 88 anni malata di Alzheimer, aveva escluso che il dibattito sull’approvazione di norme sul suicidio assistito, possa in qualche modo spianare la strada alla non punibilità dell’”eutanasia domestica”. Questo in attesa che il Parlamento, sollecitato dalla Corte costituzionale, faccia una legge sull’eutanasia entro il primo settembre.

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