Genitori, coniugi, componenti dell’unione civile, conviventi di fatto, parenti o affini entro il secondo grado (o entro il terzo, in alcune circostanze). Sono i lavoratori dipendenti che possono fruire dei permessi retribuiti per assistere le persone con disabilità. Permessi garantiti dalla legge 104/1992, che spettano anche ai lavoratori disabili, e che richiedono il rispetto di una serie di parametri. Restano esclusi gli autonomi, i parasubordinati, i lavoratori a domicilio, gli agricoli a tempo determinato (“a giornata”) e gli addetti ai lavori domestici e familiari.
La disabilità deve essere grave
La legge-quadro del 1992 «per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate» definisce i requisiti richiesti per fruire dei permessi: innanzitutto, la condizione di handicap grave della persona da assistere, riconosciuta dalla commissione medica integrata Asl/Inps, e l’assenza di un ricovero a tempo pieno. Anche se per quest’ultima ipotesi è prevista un’eccezione: ad esempio, nel caso in cui il ricoverato abbia comunque il bisogno (documentato dai sanitari della struttura) dell’assistenza di un genitore o di un familiare.
Secondo le ultime statistiche dell’Inps, sono oltre 50mila i beneficiari dei permessi «104» personali e oltre 360mila i lavoratori che ne fruiscono per assistere familiari. L’agevolazione concessa dalla normativa consiste in tre giorni di permesso mensile, frazionabili in ore. Ma sono previste alternative per i genitori di bambini fino a dodici anni (prolungamento del congedo parentale con indennità di retribuzione) o fino a tre anni (permessi orari retribuiti), così come per i disabili stessi (riposi orari giornalieri).
I «confini» dell’assistenza
Quali sono le attività di assistenza che giustificano la richiesta dei permessi? Gli eventuali abusi devono essere valutati caso per caso, così su questa materia si sono più volte pronunciati i giudici.
La giurisprudenza prevalente ritiene che non possano rientrare nell’attività di assistenza al familiare disabile – da svolgere quindi nei giorni di permesso – attività non strettamente legate alla “cura materiale” della persona. Si tratta di azioni ordinarie come lavare, stirare o fare la spesa, che potrebbero essere svolte in altri momenti della giornata, fuori dall’orario lavorativo e senza richiedere al datore i permessi «104».
Alcune recenti pronunce della Cassazione, però, sembrano invertire la rotta (si vedano le sentenze 30676 del 27 novembre e 23891 del 2 ottobre 2018, commentate sul Sole 24 Ore del Lunedì del 3 dicembre): la Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento di lavoratori che avevano usato i permessi per sbrigare commissioni legate a specifici interessi del soggetto disabile assistito. Nel perimetro dell’assistenza al familiare disabile rientrano infatti – secondo questo orientamento innovativo – anche le attività che la persona assistita non è in grado di compiere in autonomia.
Le conseguenze dell’abuso
Chi fruisce dei permessi «104» senza averne diritto, o per svolgere attività diverse dall’assistenza, perde il diritto a beneficiare dei permessi stessi (articolo 33, comma 7-bis della legge 104/1992) e, sul piano disciplinare, può andare incontro al licenziamento. Gli abusi possono comportare conseguenze anche penali, configurando, nei casi più gravi, il reato di truffa ai danni dello Stato (è l’Inps che rimborsa ai datori le spese per la retribuzione e per i contributi dei lavoratori in permesso).
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