Il reddito di cittadinanza muove i primi passi con i fondi stanziati nella manovra 2019. Fondi ridimensionati per rispondere alle richieste della Ue. Le risorse disponibili sono passate da 9 miliardi all’anno a 7,1 per il 2019, 8,05 per il 2020 e 8,3 annui dal 2021. Accanto a questo ritocco, la manovra interviene anche sul reddito di inclusione (Rei), la misura di contrasto alla povertà che già esiste e si può chiedere dal 1° dicembre 2017. In base alla modifica, anche per il 2019 i beneficiari del Rei potranno ricevere l’aiuto economico da 187 a 540 euro al mese senza aver prima sottoscritto il progetto personalizzato di presa in carico da parte dei servizi sociali del Comune e quindi eventualmente il patto di servizio per il reinserimento lavorativo, che è parte integrante della misura.
In ogni caso, il patto dovrebbe essere sottoscritto entro sei mesi da quando la famiglia ha cominciato a fruire del Rei. Questa eccezione, inizialmente prevista solo per il 2018, da un lato potrebbe favorire una più facile transizione verso il reddito di cittadinanza e dall’altro, però, può racchiudere il rischio di una prevalenza dell’aiuto monetario, senza alcun piano di reinserimento lavorativo dei disoccupati.
Restano i fondi per i Comuni
Dalle notizie che si conoscono finora e in mancanza di un provvedimento che stabilisca le regole del reddito di cittadinanza,
sembra che la nuova misura abbia diversi punti di contatto con il Rei, attribuito fino a settembre a 379mila famiglie (oltre
un milione di persone), per il 69% nel Sud, con un importo medio mensile di 305 euro (variabile fra i 239 euro della Valle
d’Aosta e i 336 euro della Campania).
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Innanzitutto, la manovra per il 2019 non elimina i fondi stanziati per i servizi sociali dei Comuni, che hanno la regia del Rei. Le risorse disponibili per il reddito di inserimento vengono trasferite al nuovo Fondo per quello di cittadinanza, escludendo però la quota riservata ai municipi, il cosiddetto Fondo servizi. Agli enti locali restano dunque 347 milioni per il 2019, 587 per il 2020 e 615 dal 2021. Questo potrebbe significare che, anche se i centri per l’impiego avranno un ruolo centrale nell’applicazione del reddito di cittadinanza, i Comuni non saranno tagliati fuori.
Il rafforzamento dei centri per l’impiego, che è una priorità del nuovo Governo, si innesta nei percorsi di inclusione lavorativa legati al Rei, che già li coinvolgono: questo strumento prevede infatti, oltre all’erogazione economica, un progetto di inclusione elaborato per la famiglia dai servizi sociali del Comune.
Quando la povertà dipende dal lavoro
Se emerge che la povertà del nucleo è legata alla mancanza di lavoro, la famiglia deve sottoscrivere un patto di servizio
o un programma di ricerca intensiva di occupazione, definito proprio dal centro per l’impiego. Il potenziamento dei Cpi non
sarebbe dunque in contrasto con questo sistema: l’unico vero cambiamento di rotta sarebbe attribuire ai centri il coordinamento
del reddito di cittadinanza.
«Auspichiamo che si possa trovare una sinergia tra i due sistemi - spiega Edi Cicchi, assessore ai servizi sociali del Comune di Perugia e presidente della commissione welfare dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni italiani -. I Comuni hanno esperienza e competenze consolidate nella valutazione e nella presa incarico di soggetti fragili, mentre i centri per l’impiego non dispongono oggi della stessa esperienza e di professionalità adatte a svolgere questa funzione, che è legata a una presa in carico multidimensionale delle famiglie».
Integrare l’attività dei municipi con quella dei centri per l’impiego è la priorità anche per Luigi Mazzuto, assessore alle politiche sociali del Molise e coordinatore della commissione politiche sociali della Conferenza delle Regioni: «Per essere pronti - spiega - i centri per l’impiego vanno dotati di strumenti e personale qualificato, e servirebbe una integrazione tra le loro banche dati e le anagrafi comunali, che non c’è».
La platea di riferimento del reddito di cittadinanza sarà con ogni probabilità la stessa del Rei: quella dei poveri assoluti. Il reddito di inclusione fino a oggi è stato erogato a un quinto dei poveri assoluti presenti in Italia secondo l’Istat (oltre 5 milioni di persone). È presumibile dunque che la nuova misura annunciata dal Governo resti in questo perimetro.
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