I contratti di locazione a uso diverso dall’abitativo sono disciplinati dalla legge 392 /1978, che - salvo casi particolari - è inderogabile. Locatore e conduttore possono liberamente determinare l’ammontare del canone, il regime di ripartizione delle spese, la forma del contratto (che può anche essere verbale, fino a un canone di 250mila euro), eccetera.
Vincoli, nullità e deroghe
Sono vincolate - tranne casi particolari - le pattuizioni sulla durata del contratto, sull’aggiornamento del canone (salvo che l’immobile abbia durata superiore a quella minima), sull’ammontare del deposito cauzionale, sull’indennità di avviamento, sulla sublocazione/cessione del contratto, sulla prelazione, e altro. Infatti l’articolo 79, commi 1 e 2, della legge 392/78 dispone che «è nulla ogni pattuizione diretta a limitare
la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti
ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge. Il conduttore con azione proponibile
fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione
dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge».
Sono consentite deroghe per le locazioni con canone annuo superiore a 250mila euro, purché il contratto sia in forma scritta. Lo stesso articolo 79, terzo comma, stabilisce infatti che «in deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore a 250mila euro, e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere provati per iscritto».
Le parti possono comunque determinare liberamente la cifra del canone. Per l’aggiornamento, l’articolo 32 della legge 392/78 dispone che le variazioni in aumento non possano essere superiori al 75% rispetto a quelle, accertate dall’Istat, dell’indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, salvo che la durata minima del contratto superi quella prevista dalla legge.
Durata e recesso
I contratti di locazione ad uso diverso hanno durata minima di sei anni per immobili adibiti ad attività industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico (agenzie di viaggio e turismo,
impianti sportivi e ricreativi, aziende di soggiorno e altri organismi di promozione turistica e simili). Se l’immobile è
destinato ad attività alberghiere o all’esercizio di attività teatrali, la durata minima non può essere inferiore a nove anni.
È però possibile stipulare contratti di durata inferiore, a patto che sia provato il carattere transitorio dell’attività connessa alla locazione. Nel caso particolare della locazione stagionale, il locatore è obbligato ad affittare l’immobile, per la medesima stagione dell’anno successivo, allo stesso conduttore che ne ha fatto richiesta inviando al proprietario una lettera raccomandata prima della scadenza del contratto.
È consentito alle parti di inserire nel contratto la possibilità che il conduttore receda in qualsiasi momento dall’accordo. Quest’ultimo è tenuto a comunicare la decisione al locatore con almeno sei mesi d’anticipo, con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Lo stesso termine si applica se alla base del recesso vi siano gravi motivi. L’articolo 28 della legge sull’equo canone dispone inoltre che i contratti di locazione commerciale e alberghiera una volta scaduti si rinnovano tacitamente rispettivamente di sei e nove anni, a meno che il locatore non comunichi la disdetta, con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, almeno 12 o 18 mesi prima della scadenza dell’accordo.
Condizioni per negare il rinnovo
La legge stabilisce la possibilità per il locatore, alla prima scadenza del contratto, di negare il rinnovo dell’accordo, ma solo se sussistono le condizioni previste dall’articolo 29 della legge 392/78. Ad esempio, se il proprietario
dell’immobile decide di adibire il bene ad abitazione propria, del coniuge o dei parenti diretti entro il secondo grado. O ancora, se il proprietario, il coniuge o i parenti diretti entro
il secondo grado decidono di destinare l’immobile a una delle attività previste dall’articolo 27 (industriali, commerciali
e artigianali di interesse turistico, quali agenzie di viaggio e turismo, impianti sportivi e ricreativi, aziende di soggiorno
ed altri organismi di promozione turistica e simili). Il rinnovo può essere negato se il proprietario sceglie di demolire l’immobile per una ristrutturazione integrale, un completo restauro o «per rendere la superficie dei locali adibiti alla vendita
conforme a quanto previsto nell’articolo 12 della legge 426/1971 (...), e ai relativi piani comunali, sempre che le opere
da effettuarsi rendano incompatibile la permanenza del conduttore nell’immobile».
Per immobili adibiti ad albergo, pensione o locanda, anche se ammobiliati, il locatore può negare il rinnovo del contratto nel caso in cui decida di «ricostruire l’immobile, ferma restando la destinazione alberghiera, o di apportare all’immobile, adibito ad albergo o a pensione, notevoli migliorie che ne aumentino la capacità ricettiva o che comportino un passaggio dell’azienda a categoria superiore». O se intenda esercitare personalmente nell’immobile o farvi esercitare dal coniuge o da parenti diretti entro il secondo grado la medesima attività del conduttore.
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